C’è una domanda che spero tanto tormenti le notti di tutti gli studiosi dell’economia della cultura: i festival (cinema, letteratura, filosofia, mente, e quanto di più fantastico potrà proporci il futuro)  sono reali occasioni di sviluppo, attraverso le quali mettere in moto gli invisibili meccanismi della crescita o piuttosto occasioni di sana e culturale baldoria? Si tratta, ed è questo che dovrebbe muovere i nostri pensieri, di un investimento culturale, capace di produrre degli adeguati frutti, o di un modo veloce di spendere le risorse pubbliche e con enormi effetti in termini di visibilità?

Il punto è critico, secondo me. Valido certamente per l’ultimo festival cinematografico presentato a Venezia, il BIF&ST, ma ancora di più per quelle amministrazioni che hanno puntato su una politica degli eventi e che, proprio su questo terreno, hanno visto perdere consenso – nel medio termine – da parte di una cittadinanza alle prese con il traffico e il caro prezzi.

Si consideri, poi, che il BIF&ST è finanziato da fondi per gli investimenti di politica strutturale e che, quindi, dovrebbe valere più o meno quanto vale la costruzione di un ponte o di un ospedale, in termini di crescita di quel territorio.

Ciò detto, alcune intuizioni mi tranquillizzano (ma un giorno lo valuteremo!) sulla bontà di questo festival: intanto la logica low cost, straordinaria immagine di un’indigenza capace di stimolare la creatività e l’efficienza; poi la Puglia: un posto che veramente ti sorprende quasi ad ogni angolo. E se il cinema è sorpresa, allora i frutti saranno garantiti.

Marcello Minuti è economista della cultura