Quasi pronta la riforma delle fondazioni liriche? Il Ministro Sandro Bondi assicura che tra due settimane il Consiglio dei Ministri discuterà la sua proposta sul nuovo assetto della lirica di prima grandezza, immaginiamo per farne un disegno di legge. Pur non conoscendone i dettagli, si può supporre che le linee cardine di questa ennesima riforma siano il ridimensionamento della quota del FUS che va alle fondazioni e la gerarchizzazione delle fondazioni stesse, alcune soltanto delle quali potranno mantenere il blasone della rilevanza nazionale. Non sorprende che si tratta delle stesse linee-guida del Governo Dini (siamo nel 1994, ere geologiche fa) e che nonostante se ne parli da allora la “grande riforma” sia rimasta nelle intenzioni. Non era certo una riforma il maquillage della forma giuridica che ha lasciato intatti i meccanismi decisionali e operativi.
Una svolta legislativa è necessaria: lo dice anche la sequenza di commissariamenti degli ultimi anni, da Firenze a Napoli a Genova. Ma un provvedimento settoriale non basta: lo suggerisce il progressivo intrecciarsi dei mercati culturali, in cui l’offerta converge e la domanda migra con intensità sempre maggiore. Lasciare le cose al livello delle dimensioni del FUS e della rilevanza nazionale o regionale delle fondazioni pare davvero un po’ poco. Un’agenda di qualche incisività dovrebbe dipanare alcune questioni di fondo: il nodo del personale e dei suoi costi, che può essere affrontato soltanto con la separazione tra i teatri e le loro masse artistiche, rese indipendenti e legate da un contratto di servizio; l’organizzazione delle stagioni, che viri in qualche misura verso il sistema del repertorio; la comprensione che qualità artistica non significa indispensabilmente spreco e faraonismo; l’intenzione di progettare l’offerta culturale con prevalente attenzione al territorio e alla sua comunità.

 

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto, Università di Catanzaro