restauratore_almamaterNel settore Beni Culturali, a fronte di un impegno notevole nel redimere l’annosa questione delle qualifiche dei restauratori, si contrappone una protesta confusa su quanto sta accadendo.
Quello che accade è il riconoscimento professionale (non una sanatoria) da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali di chi opera sui Beni Culturali Tutelati dallo Stato, attraverso cinque differenti qualifiche con competenze diverse  di cui solo due operano direttamente sul bene: il restauratore ed il collaboratore che esegue le operazioni in autonomia dietro indicazione del restauratore.
Per specificare meglio, secondo il D.M. 86/2009, “…il restauratore di beni culturali… definisce lo stato di conservazione e mette in atto un complesso di azioni dirette e indirette per limitare i processi di degrado, analizza i dati e li interpreta, progetta, dirige e coordina gli altri operatori, svolge attività di ricerca, sperimentazione e didattica, ed esegue i lavori di restauro…”.
Per il Codice dei Beni Culturali (D.Lgsl 42/2004 art. 29 comma 6,) “… gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali ai sensi della normativa in materia ” in linea con i contenuti critici della Sentenza della Corte Costituzionale (n. 9 del 13 gennaio 2004) “La corte ritiene pertanto …..che la norma in questione (qualificazione del restauratore di beni culturali n.d.r.) rientri nella materia della tutela dei Beni Culturali, perché essa concerne il restauro dei medesimi, ossia una delle attività fondamentali in cui la tutela si esplica”.
La qualifica di restauratore di beni culturali corrisponde ad un profilo professionale alto ed a responsabilità di tutela dei beni culturali che ora si acquisisce con le norme transitorie ed in futuro si otterrà con una laurea magistrale.
L’istituzione di un elenco di professionisti, con una specifica formazione magistrale, presuppone l’omogeneità qualitativa di coloro che ne entrano a far parte nella fase transitoria, posto che nella fase successiva tale omogeneità sarà assicurata dalla corretta formazione.
Nessuno poi sottolinea mai abbastanza l’importanza e il numero dei collaboratori restauratori che eseguono in autonomia le operazioni di restauro sul bene; questo vuol dire restaurare. La differenza con il restauratore di beni culturali è individuata nella capacità progettuale, decisionale e di coordinamento con altre figure professionali,  con assunzione di responsabilità.
Questo è il punto basilare che viene ignorato e minimizzato da chi utilizza le facili confusioni alle quali ben si presta il vago termine “restauratore” e la demagogia dei numeri di assoluta fantasia mai confortati da dati reali e dimostrati.
Ci sono cinque qualifiche individuate con varie definizioni e regole e ciascuno può rientrare in quella di sua competenza per conoscenze e formazione.
Coloro che da anni studiano e lavorano a vario titolo nel settore troveranno una collocazione tra queste cinque figure ma che per una razionalità e conseguenza delle norme transitorie non potrà essere per tutti quella di restauratore di beni culturali.
Un esempio della campagna di disinformazione in atto da tempo è quello della stima avanzata dalle sigle sindacali di oltre 30.000 addetti ed addirittura 30.000 ditte che opererebbero nel settore del restauro di beni tutelati (Categoria OS2) in rapporto diretto con le Autorità di tutela. Queste cifre infatti sono del tutto pretestuose e possono essere facilmente smentite dalle evidenze che parlano chiaramente di poco più di 550 ditte in tutta Italia con attestazione SOA in questa categoria (alcune delle quali peraltro con dubbia qualificazione).
La protesta in atto, per le modalità con cui viene condotta e per le argomentazioni portate è dichiaratamente mirata a ottenere una battuta d’arresto, se non il completo fallimento dell’iniziativa.  Permettere a chiunque, con autocerificazioni non controllate, di ottenere la responsabilità di tutela dei beni culturali, così come viene richiesto da chi parla di sparizione di sedicenti trentamila restauratori, è qualcosa su cui riflettere. E’ il tentativo di appropriazione scorretta di una qualifica di alto livello, che già oggi è in atto con la mancata vigilanza dei livelli di qualità degli operatori del restauro.
Nelle more di questa zona grigia abbiamo assistito, infatti, al dilagare nel settore del restauro specialistico e di alta qualità di interessi economici che si sono insinuati, avanzando da ambiti complementari, ma niente affatto affini, come l’edilizia, che raramente possono coincidere con la salvaguardia dei livelli di eccellenza che il patrimonio italiano a buon diritto merita.
Il sistema di applicazione delle norme transitorie è complesso per la qualità e quantità di documenti, che servono a ricostruire in maniera oggettiva un percorso individuale che coincida con la figura professionale di riferimento, ma non è impresa impossibile e le ditte attestate SOA già lo fanno.
Per le situazioni incomplete esiste poi l’esame di idoneità.
I completamenti dei percorsi formativi sono argomenti che dovranno certamente essere considerati, ma non possono ora  diventare pretesto per abbassare un livello di eccellenza nel settore della tutela e della conservazione raggiunto dal nostro paese in tanti anni di storia e al quale si riconosce di fatto un ruolo guida nel mondo.

Carla Tomasi è Presidente dell’A.R.I. – Associazione Restauratori d’Italia