Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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I Sistemi Informativi Territoriali (comunemente chiamati GIS dall’inglese Geographic Information System), sono sempre stati considerati sofisticati strumenti per professionisti; oggi godono di una discreta popolarità grazie anche alla diffusione attraverso internet di sistemi come Google Maps, GIS principe in quanto a semplicità. Hanno contribuito a questa dinamica anche sistemi più complessi – ma di primaria importanza – quali quelli legati alla mobilità, alla gestione delle emergenze, alla sanità, alla pianificazione urbana o territoriale ed ambientale ivi compresi quelli per la gestione della valorizzazione e della conoscenza dei Beni Culturali.
In Italia, un antesignano esempio di GIS per i Beni Culturali è rintracciabile nella “Carta del Rischio del Patrimonio Culturale”, un’opera che, iniziata nel 1992, è stata conclusa nel 2006 con l’intenzione di offrire a diverse tipologie di utenti, amministratori, cultori o semplici cittadini, informazioni sulla localizzazione dei beni, sul loro stato di conservazione, vulnerabilità e rischio antropico, ambientale e geologico in relazione alla loro posizione geografica.
Il dato tecnico risultante dall’utilizzo di questo sistema ha spesso sorpreso il pubblico gestore che aveva in questo caso a che fare con dati oggettivi non suscettibili di personali interpretazioni, troppo spesso in voga nel settore culturale. Il rischio a cui è sottoposto il bene, se esso viene derivato dalla semplice interazione dei parametri della sua vulnerabilità – strutturale e materiale – e poi confrontato con la pericolosità territoriale – in termini geografici ed ambientali – ha prodotto serie rivoluzioni in quella che ora può essere definita una nuova gestione dell’economia della conservazione dei Beni Culturali. E’ però ancora oggi difficile apprezzarne il recepimento: siamo ancora troppo abituati in Italia ad utilizzare finanziamenti a pioggia per sfruttare concretamente gli elementi tecnico scientifici di valutazione per la programmazione di bilancio.
L’esempio italiano non ha però lasciato insensibili gli altri paesi, almeno quelli confinanti nell’area mediterranea, che hanno a loro volta iniziato a realizzare sistemi GIS per la gestione del rischio del Patrimonio Culturale, traendone benefici pluridisciplinari. Il tutto su un’unica comune base informativa costruita con l’acquisizione e l’archiviazione strutturata dei parametri fondamentali del bene, quali quelli ormai definiti per la catalogazione dal network mondiale di standardizzazione. Tale base dati, complementata dalla collocazione geografica del bene, costituisce la base informativa utile a qualsiasi successiva analisi si renda necessaria per la fruizione controllata e conservativa del bene. Un’analisi geografica della vulnerabilità è derivata dalla conoscenza dello stato di conservazione e della localizzazione, e proprio da qui si avvia una politica di manutenzione programmata nell’ambito della gestione che consente di risparmiare i sostanziosi investimenti richiesti dalle grandi opere di restauro quale quelle che si devono sostenere a seguito di una lunga e trascurata carenza di programmazione geografica della manutenzione.
Le potenzialità dei GIS sono lì a portata di mano: sono già state esplorate con notevoli investimenti economici, e sono oggi abbordabili a costi ridotti se si pensa che un primo approccio si può effettuare anche direttamente utilizzando dati geografici liberi e software open source tramite il fantastico mezzo di comunicazione geografica che internet ha saputo realizzare.
Renzo Carlucci, direttore della rivista GEOmedia