Pur mediamente meno costosi e più accessibili di quelli delle altre capitali europee, i musei romani faticano a fare i numeri che ci si aspetterebbe per luoghi tanto preziosi. A dirlo è un’indagine Adoc che, oltre a segnalare il trend negativo di visitatori imputa, almeno in parte, il risultato non proprio soddisfacente alla scarsa propensione dei musei della Capitale a offrire al pubblico servizi accessori adeguati alla visita.
Certo negli istituti romani, come nella gran parte d’Italia, nursery, percorsi per bambini e servizi per le famiglie sono ancora poco diffusi o prerogativa particolare dei musei scientifici, come più volte evidenziato anche dai Dossier Musei del Touring.  Ma siamo proprio sicuri che sia tutta qui la causa del male dei musei italiani? Difficile dirlo in un anno come il 2009 in cui il turismo ha dato segni di sofferenza e in cui le abitudini stesse dei viaggiatori sembrano essersi consolidate a favore di soggiorni più brevi.
I vincoli di tempo e la crescente differenziazione della domanda turistico-culturale verso forme alternative di fruizione non sono infatti un fattore da sottovalutare in destinazioni tanto ricche di attrattori di altissima qualità e dunque in concorrenza tra loro, senza contare poi l’appetibilità intrinseca “open air” di Roma i cui musei – Fori e Colosseo a parte – finiscono per diventare quasi un prodotto “periferico” nelle scelte dei visitatori mass market.
Ecco perché, anche se l’affluenza nei musei durante le vacanze di Natale 2009 è stata positiva e i dati AICA (Associazione Italiana Compagnie Alberghiere) sui primi mesi del 2010 sembrano abbastanza confortanti, uno dei grossi nodi da non trascurare resta quello della maggiore connessione tra musei e territorio: con migliori servizi certo, ma anche con una rinnovata capacità di proporsi al bacino di utenza locale.

Martha Friel è ricercatrice in Economia della Comunicazione, IULM, Milano