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Viene definito come uno “straordinario catalizzatore dell¹immaginazione”, altri addirittura affermano che racchiuda in sé il meglio della tradizione narrativa occidentale, smentendo coloro che con qualche pregiudizio hanno sempre raffigurato l¹ex tubo catodico come il nemico della grande narrativa come se i contenuti veicolati al suo interno siano una componente accessoria, quasi ininfluente.
Fatto sta che dopo 6 stagioni, 136 episodi, punte da 15 milioni di telespettatori negli Usa, la serie americana Lost prodotta dalla rete Abc (Disney), costata, pare, più di un miliardo di dollari ha scavato un solco profondo nelle logiche produttive della lunga serialità televisiva. E la doppia puntata finale sarà ricordata come l¹evento televisivo del 2010.
Un coro unanime di critici ed addetti ai lavori hanno sottolineato l¹originalità del linguaggio, l¹impiego perfetto dei flash back e dei flashforward, di piani narrativi dall¹effetto spiazzante, con salti temporali improvvisi. E ancora le trame complesse (dunque vincenti perché lasciano agli spettatori ampi spazi di interpretazione), per nulla consolatorie, farcite di raffinate tecniche ipertestuali e meccanismi in cui più il tempo collassa più lo spettatore sprofonda in un appagante senso di incertezza.
L¹aspetto più interessante è, a mio avviso, un altro e riguarda le “complicità della rete”, ovvero la nascita di comunità appassionate in rete, la moltiplicazione di forum e blog sparsi in tutto il mondo, siti dove si scrivono sceneggiature alternative, si doppiano interi episodi, ci si avventura in dibattiti filosofici; i fan sono arrivati a creare una wikipedia dedicata alla serie (Lostpedia). La rete stimola anche strategie di marketing eterodirette che aiutano a tenere alta l¹attenzione come i puntuali ritrovamenti di veri o presunti piani di produzione o pagine di copioni sugli esiti degli episodi più attesi.
La rete ha consentito di valorizzare le strategie di sfruttamento commerciale del prodotto, sbriciolando letteralmente le tradizionali windows distributive. In Italia, ad esempio, a poche ora della messa in onda negli Usa i nuovi episodi erano già disponibili on demand su ben tre piattaforme di Telecom (dal web, sulla Iptv di Alice e sul nuovo dispositivo Cubo Vision) prima ancora di approdare sulle tv tradizionali. L¹episodio finale, trasmesso lunedi 24 maggio alle 6,30 del mattino ora italiana, è stato mandato in onda addirittura in contemporanea a livello quasi globale per massimizzare gli introiti della vendita dei diritti.
Anche per queste ragioni, nell¹era dei social network e della fruizione multicanale, cadono tutti i possibili confronti, in primis con il mitico Twin Peaks.
Peccato che Rai e Mediaset non abbiano raccolto la lezione americana: in casa nostra sono pochi e alquanto timidi i tentativi di sperimentare nuovi prodotti fuori dalle logiche tradizionali prendendo spunto da una narrativa per immagini così all¹avanguardia. La diffusione di forme alternative di fruizione dei contenuti, qui da noi, non si sta accompagnando (tranne rari casi) a politiche di investimento coraggiose in grado di premiare prodotti innovativi, coraggiosi ma soprattutto multipiattaforma.
I nuovi canali sono ancora visti come una mera estensione delle generaliste, dove latitano i contenuti originali e si replicano prodotti concepiti per pubblici che ancora si accontentano (ancora per quanto tempo?), per forza di inerzia, dei soliti stilemi dell¹Italia brava gente…
Bruno Zambardino è Docente di Organizzazione ed Economia Aziendale dello Spettacolo, Università “La Sapienza”