Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Chiunque abbia avvicinato il mondo della gestione del patrimonio culturale in questi ultimi anni provenendo da una formazione economica o gestionale non ha potuto evitare di interrogarsi, e porre domande, attorno al tema della cosiddetta “accountability” o cultura della rendicontazione.
Il problema nel caso delle Soprintendenze e in generale del funzionamento delle strutture operative del Ministero dei Beni Culturali appare particolarmente delicato e ricco di implicazioni: la struttura dei poteri assegnati alle Soprintendenze, di natura pressoché prefettizia, non vincolati legislativamente a poteri centrali o locali, ha infatti nel tempo rappresentato il punto più forte e anche più problematico del sistema. Più forte perché ha consentito, almeno in teoria e forse con una lettura non priva di ottimismi, un’azione di vincolo e controllo sui territori libera da condizionamenti; più problematico perché ha limitato lo sviluppo di una cultura della rendicontazione in strutture operanti su territori e temi estremamente complessi e soggetti, di fatto, all’azione ineliminabile di una molteplicità di forze contrapposte.
Nel tempo, diciamo negli ultimi quindici anni almeno, il conflitto tra libertà di principio dell’intervento culturale e necessità di un suo controllo negoziale è stato il leitmotiv di un
percorso che ha progressivamente e forse sciaguratamente – seppur con profonde differenze da caso a caso ? condotto ad una perdita di prestigio, autorità e anche competenze nel sistema
pubblico della gestione del patrimonio, con un crescente intervento dei privati e soprattutto una crescita “disordinata” dei principi privatistici all’interno della gestione della cosa pubblica.
Il fuoco del dibattito ora è ancorato sui temi più caldi del riutilizzo dei beni demaniali, sui possibili effetti perversi della regionalizzazione della tutela…. Ed è anche giusto che sia così. Il problema è che non si può combattere caso per caso. Ad inseguire sempre alla fine si perde.
Forse, piuttosto, andrebbe riportata all’attenzione la necessità – a questo punto l’urgenza – di un piano teso a costruire , trasversalmente al decentramento, una cultura orientata a definire
confronti di performance e di trasparenza. Non per porre ulteriori gabbie ad una pubblica gestione del patrimonio già troppo indebolita, ma per renderla nel tempo più forte, più ascoltata, e forse più libera, anche dai propri ricordi.
Stefano Baia Curioni, Centro ASK Università Bocconi di Milano