Il rapporto tra il “Valore” di una “Cosa” ed il suo “Prezzo” e’ rapporto ambiguo, instabile, effimero, che riflette, nella più parte dei casi, reciproci atteggiamenti, rapporti di potere, di soggezione, visioni, miraggi, stati di soggezione o schiavitù psicologica.
Pensiamo al valore di complessi contratti di borsa come i “credit default swap”, dal cui massiccio impiego e’ derivato il drammatico crollo delle quotazioni di tutti i titoli trattati dalle borse del mondo – oramai globalizzato – nel 2008.  La recente “crisi”.
Non di meno il Valore della Cultura, ammesso e non concesso che nell’era dell’informazione digitale, sempre più diffusa, agevolmente leggibile e trasportabile (pensiamo a smarphone, tablet computer, al fenomeno ipad, ecc), difficilmente può ricondursi al prezzo di copertina delle opere librarie.
Libri, dunque, a prezzo amministrato.
Ma cosa si intende per libri in un’industria, appunto, sempre alla rincorsa dei mezzi più fantasiosi e commerciali per tenersi in equilibrio?  Pensiamo ai libri da cui sono tratti i film: oggi, semmai, il libro non è che uno degli elementi di merchandising del film stesso, ne è meramente ancillare, come le spillette o le t-shirt con i ritratti degli attori protagonisti.
Pensiamo agli e-book, agli estratti su wikipedia (di dubbia o alcuna attendibilità, essendo per la maggior-parte auto-costruiti), pensiamo ai libri auto-prodotti in uno dei centinaia di siti che, ricevendo un pdf autocomposto sullo stesso indirizzo web dell’editore indipendente, consegnano il numero di copie desiderate (spesso da 10 a … 10.000) entro pochi giorni a casa dell’auto(edi)tore che si compiacerà anche di munirsi di apposito ISBN, non come mezzo di bonifico bancario, ma di standard internazionale per la numerazione dei libri, familiare per la sua codifica a barre in calce ad ogni opera…e al relativo prezzo di copertina.
Tornando alla proposta di legge, la scontistica massima applicabile, i “saldi di fine stagione” solo…in stagione (aulicamente indicati come “operazioni di promozione straordinarie”), paiono a chi scrive molto più manovre di aggiramento del vero problema che affliggerà presto l’editoria, ovvero la semplice e cruda sfida tecnologica del digitale, quella, per intenderci, che ha indotto le case discografiche a cambiare radicalmente le loro modalità di business, e che si presenta non meno problematica.  Il governare ed imporre per legge il prezzo minimo dell'”hard book” insomma, non è che un palliativo (tra l’altro incontrollabile se pensiamo al mercato dell’usato, alle bancarelle, ai temporary shop, alle vendite via internet ecc ecc) che non affronta il vero problema: la sfida tecnologica e il cambio di mentalità e lo sperimentare nuovi modelli di business, cui peraltro in casa Apple e non solo, hanno già pensato da tempo e da tempo preso le rispettive decisioni.
Insomma questa proposta ricorda le lotte dei piccoli imprenditori agrari contro le “Major” (Parmalat in testa, nuova o vecchia che sia), favorite dal perverso sistema di incentivi alla base delle “quote latte”.
In breve il rapporto è il seguente: la menzionata proposta di legge sta alla Cultura, come le Quote latte stanno alla Cultura contadina, e a questa siamo tutti debitori.

Paolo Bergmann è avvocato esperto in diritto d’autore