Della necessità di rivedere le politiche culturali nel nostro paese se ne è persuasa anche l’imprenditoria italiana. Le proposte che Emma Marcegaglia ha avanzato durante l’assemblea annuale di Civita meritano però una brevissima analisi. L’esigenza di rivedere i meccanismi di erogazione e di abbandonare la strada del finanziamento a pioggia, tipico delle democrazie nelle quali si privilegia il consenso, è del tutto condivisibile seppure trovo difficile che un tale cambio di passo possa realizzarsi in un momento di crisi quale quello attuale. Allo stesso modo, rivedere i criteri di finanziamento legandoli a parametri meritocratici che misurino la qualità dell’offerta e la dimensione della  domanda è sicuramente un ideale ipotetico, ma presenta nel concreto difficoltà metodologiche oltre che rischi di forte iniquità distributiva che penalizzerebbe l’innovazione e la ricerca nonché l’emergere di nuove creatività. Sulle Fondazioni Liriche è decisamente un complimento affermare che lo Stato sia stato timido nell’affrontare i problemi che questi enti hanno da ormai più di 10 anni. In questo settore si sono susseguiti una serie di provvedimenti di urgenza, spesso scoordinati tra di loro  e dunque senza un disegno di fondo, che hanno sempre rappresentato dei palliativi non affrontando i problemi alla radice. Di dubbia efficacia è lo strumento del credito di imposta per gli investimenti delle imprese in cultura, soprattutto in un momento di crisi finanziaria sarebbe una scelta strategica sbagliata da parte delle imprese preferirla agli investimenti in tecnologia, ricerca e sviluppo, soprattutto in un paese nel quale la ricerca pubblica è ridotta ai minimi termini, e non credo che nessuna impresa farebbe tale scelta. Sono scettico sull’affidare in gestione ai privati i grandi musei:  l’orizzonte temporale entro il quale un museo deve porre le proprie ragioni d’essere non può essere compatibile con i tempi dei privati che hanno giustamente l’obiettivo del profitto. Strutturare partnership sulla base di regole chiare e condivise apparirebbe una linea d’azione a mio avviso più efficace. Da ultimo, aumentare le detrazioni per le donazioni da parte dei privati è certamente un lodevole intento ma dubito che in un momento di diminuzione dei consumi possa sortire alcun effetto concreto se non dal punto di vista del sistema di valori della nostra società. In definitiva c’è molto lavoro da fare e ben vengano le proposte di ciascuno, ma la cosa che appare più urgente da affrontare è il ridisegno complessivo delle politiche nel settore che tragga la propria ragion d’essere dal nuovo ruolo che la cultura sta avendo nelle grandi democrazie del mondo.

Giulio Stumpo è economista della cultura