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Il terzo settore è in piena mobilitazione per salvare il salvabile dai tagli lineari della legge di stabilità. Una misura su tutte è al centro della protesta: il ridimensionamento del “5 per mille”. E’un pasticciaccio brutto: chi taglia oggi, il Ministro Tremonti (anche lui nega), è l’inventore di questo strumento innovativo che consente ai cittadini italiani di devolvere il cinque per mille del proprio reddito a organizzazioni non profit. E per di più si tratta di risorse che i cittadini avevano già deciso di destinare.
Una doppia beffa quindi: per chi ha devoluto e soprattutto per chi contava su queste entrate economiche, in particolare organizzazioni associative e volontaristiche. Ben venga dunque la mobilitazione, anche perché farà da cartina tornasole sull’unità di intenti di un settore che spesso brilla per frammentarietà. Chissà che un’azione di lobby su un tema così specifico, e dai risvolti drammatici, non aiuti a rifondare la rappresentanza, rendendola più propositiva in sede di policy making. Quel che serve infatti è un’agenda che vada ben oltre le operazioni di salvataggio, dove sia evidente il contributo (soprattutto quello “in kind”) apportato dallo stesso settore non profit.
Meglio essere realistici: le politiche redistributive, come il cinque per mille, prestano il fianco ai tagli, soprattutto in questo periodo. Meglio proporre incentivi che siano generativi di ulteriori risorse attraverso la ricerca del famoso, ma spesso poco cercato, effetto leva. Un esempio? Il federalismo demaniale ha trasferito una quota significativa di asset immobiliari a enti pubblici locali. Non si potrebbe chiedere che un “per mille” di questo patrimonio sia affidato a organismi non profit perché lo ristrutturino destinandolo a finalità sociali? Le buone prassi non mancano. Per averne conferma basta sfogliare il catalogo del padiglione Italia alla recente Biennale di Architettura.
Flaviano Zandonai è Segretario generale di Iris network