Con l’acume che tutti gli riconoscono, Grasso tocca nel suo articolo apparso il 31 dicembre sul Corriere della Sera, un tema molto delicato: quello del rapporto tra audiovisivo e cultura, o per meglio dire della legittimità di includere nell’ampio perimetro delle attività di promozione culturale anche la realizzazione di prodotti audiovisivi, in particolare di carattere documentaristico. Spesso si dimentica che il sostegno pubblico ai vari generi dell’audiovisivo (documentari ma anche film, fiction e cartoni animati) si giustifica proprio per le finalità di natura culturale che tali opere contengono, o perlomeno dovrebbero contenere.
Il documentario è senz’altro il genere più bistrattato dalle istituzioni pubbliche. Basti pensare che ci è voluta un lunga e faticosa battaglia per ottenere dalla Rai precisi obblighi di investimento e di programmazione, obblighi spesso non pienamente rispettati. Eppure, a differenza del cinema e della fiction, si tratta di opere che hanno maggiori possibilità di circolazione all’estero e che presentano un forte di grado di innovazione anche grazie ad una più intensa interazione tra ruoli gestionali e ruoli autoriali.
Il critico più temuto dagli artisti non perde l’occasione per porre a confronto la qualità e il livello di accuratezza dei prodotti esteri rispetto a quelli realizzati a livello nazionale. Tra le ragioni di questo gap vi sono anche un minor tasso di industrializzazione del settore e lo scarso impegno degli enti pubblici preposti, fattori che si riflettono in budget mediamente più contenuti proprio a danno delle fasi più preziose del ciclo di vita di queste opere, ovvero lo sviluppo e la ricerca dei materiali. In un momento storico di drastica riduzione dei finanziamenti pubblici alla cultura e allo spettacolo, forse sarebbe opportuno avviare un serio piano di redistribuzione delle risorse.
Ben venga allora il disegno di legge del Ministro Bondi che intende assegnare le magre risorse disponibili ai generi più deboli e al tempo stesso più bisognosi di sostegno come le opere prime e seconde, documentari inclusi.
Bruno Zambardino è Docente di Organizzazione ed Economia Aziendale dello Spettacolo, Università “La Sapienza”