In linguaggio manageriale si potrebbe dire che i servizi aggiuntivi sembrano sempre meno un’opportunità e sempre più una minaccia, che non sono mai stati una vera forza ma, anzi, in alcuni casi (per la scarsa qualità o l’alto costo all’utente o al gestore) una debolezza (finanziaria e d’immagine).
Il Tar calabrese ha sospeso la gara di aggiudicazione dei servizi per i musei statali di Reggio Calabria, Locri e Vibo Valentia, per impropri criteri di selezione del fornitore che restringerebbero la rosa dei partecipanti, quindi la concorrenza. Agli Uffizi pare stia succedendo la stessa cosa, dove si sta cercando un servizio di assistenza, bandito sotto Natale e per una cifra astronomica.
Come al solito in Italia tutti invocano i musei all’americana, in grado di vivere sul mercato per mezzo dei servizi offerti e dei mecenati affezionati, ma poi gli amministratori sono i primi a non mettersi nelle condizioni di operare (e rinascere) veramente.
Per soddisfare lo slogan – forse populista – della “cultura per tutti”, dei grandi numeri, delle masse, democratica, nel quale la funzione educativa ed edificante di un museo è affiancata dalla sua capacità d’intrattenimento e di divulgazione dei contenuti, i visitatori vogliono dei servizi. Questi possono essere autofinanziati – forse non generare utili come vorrebbero alcuni – ma sicuramente devono essere in grado di lavorare, con regole uguali per tutti, trasparenti, rispondenti a logiche commerciali e imprenditoriali e soprattutto aprendosi al miglior offerente.

Fabio Severino è vicepresidente dell’Associazione per l’Economia della Cultura