Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Il 23 marzo il Consiglio dei Ministri ha assegnato dal 2011, e in misura permanente, 236 milioni di euro, dei quali 149 andranno al FUS per il sostegno dello spettacolo, 80 alla tutela e al recupero del patrimonio, 7 agli istituti culturali.
Nel contempo è stata cancellata la tassa sul cinema introdotta a suo tempo dal decreto Mille proroghe e destinata ad attivarsi dal 1 luglio 2011. In breccia, pericolo scampato. Nel frattempo la pressione sul patrimonio e sui modi di gestirlo va aumentando, forse anche sull’onda delle celebrazioni risorgimentali. Le questioni non riguardano più solo o prevalentemente Pompei o altre aree di gestione pubblica: recentemente, per esempio, le pagine dei giornali lombardi si sono riempite di rimostranze e dubbi nei confronti della decisione di affidare in gestione ai privati parte della Villa Reale di Monza. Opinione politica e pubblica appaiono incerte e confuse. Ancora una volta si deve tentare di rimettere in ordine il quadro.
La prima cosa che forse val la pena di condividere è che questo decreto, seppur provvidenziale nel senso che letteralmente arriva come un salvavita per molte istituzioni, soprattutto teatrali, tampona il problema, ma non lo risolve per diversi motivi:
a. Dimensionalmente l’intervento ripristina solo le condizioni di esistenza minimali del sistema dello spettacolo nel periodo immediatamente precedente ai tagli principali. Questo significa che, comunque, per le istituzioni meno centrali, permangono situazioni di difficoltà e alte probabilità di crisi. In altre parole non cambiano i termini della sfida posta dalla drastica riduzione delle risorse pubbliche nei confronti della cultura: una sfida che richiederà cambiamenti la cui direzione ancora non mi pare individuata.
b. Dal punto di vista qualitativo non si stanno risolvendo i nodi strutturali che da tempo rallentano o impediscono lo sviluppo di nuove prospettive: le risorse umane e le competenze, le infrastrutture, le logiche di relazione tra progettazione culturale e gestione , i percorsi di mediazione e le sperimentazioni che possono accompagnare la crescita di nuovi spazi.
c. Dal punto di vista normativo non si intravedono innovazioni che consentano di imboccare sperimentazioni invece necessarie per esempio nella relazione pubblico-privato. Ognuno di questi temi ovviamente meriterebbe molti approfondimenti.
La seconda evidenza riguarda poi un elemento ancora più fondamentale. Il sistema dei beni culturali nel suo complesso è stato progettato e messo in atto nel nostro paese come un progetto squisitamente culturale, come una sorta di grande e ambiziosa utopia mirata alla tutela, ovvero la creazione di una rete il cui scopo principale è stato quello di preservare le condizioni oggettive del rapporto con il passato e con le sue testimonianze artistiche (per pittura, architettura, paesaggi, musica): le fonti da usare per rileggere la storia e la messa in forma della civiltà, della nazione e del suo popolo.
Per capire il senso del sistema complessivo delle sovrintendenze e dei musei pubblici bisogna quindi pensare che esso è stato creato prevalentemente a questo scopo e in questa luce si capisce come il rapporto con il pubblico sia sempre stato una componente marginale, demandata in pratica ad altre istituzioni (le famiglie, la scuola, l’università ad esempio). Negli ultimi vent’anni su questo sistema si è abbattuta una tempesta fatta anche di riduzioni di risorse, ma anche e soprattutto di logiche differenti (ad esempio con la valorizzazione – che in sé è estranea al progetto originario).
Il risultato di questa tempesta lo stiamo vedendo….Insomma, per quanto le sperimentazioni, la buona gestione , un migliore rapporto con il pubblico, una mediazione culturale più consapevole siano centrali, e lo sono, il futuro non sarà migliore del presente se non prenderà forma una scelta politica in merito al progetto culturale che sottende la questione del patrimonio: se vogliamo nel nostro futuro la continuità delle testimonianze del passato, se la vogliamo in altri modi o se decidiamo di voltar pagina con tutte le conseguenze storiche di questa scelta.
Sembra semplice, sembra ovvio. Ma forse non lo è.
E in proposito la decisione di controbilanciare il rifinanziamento della cultura con un aumento delle accise sulla benzina, comunicando a tutti l’onere del “costo” della cultura e lasciando più sfumato il senso complessivo dell’intervento, non sembra aiutare a capire fino in fondo la cogenza e l’importanza di quel che ci attende.
Stefano Baia Curioni è vicepresidente Centro di Ricerca ASK dell’Università Bocconi di Milano