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Il Ministero Galan ha annunciato l’avvio di un piano di manutenzione programmata per l’area archeologica di Pompei, inserendo questa emergenza al primo posto delle priorità di Governo.
Il Ministro ha anche aggiunto che il Piano potrà trovare un finanziamento con risorse programmate per il Sud, eventualmente integrate da altri fondi di origine privata (sponsor), forse ispirandosi alla recente iniziativa di Diego della Valle che ha assicurato 25 milioni di euro per il restauro conservativo del Colosseo di Roma.
Sino a questo punto, gli annunci del Ministro appaiono del tutto ragionevoli e condivisibili. La componente pubblica delle risorse finanziarie sarebbe ricavata da un impiego diverso dei fondi strutturali dell’Unione Europea per il Sud per il periodo 2007-2013, attualmente già destinati a progetti di sviluppo compresi in programmazioni elaborate dalle Regioni (POR FESR, POIN ambiente, cultura e turismo) ed approvate dalla UE. Questi fondi oggi giacciono in larghissima parte non spesi o non impegnati, dovuti a ritardi di varia natura per cause imputabili sia alle amministrazioni regionali (complessità delle procedure, cicli elettorali), sia al Governo (patto di stabilità). Il disegno strategico del Governo si palesa attraverso due provvedimenti: la delibera CIPE del 11/01/2011 ed il Piano Nazionale per il Sud.
Con il primo atto il Governo mette in piedi un meccanismo che dovrebbe riportare sotto il proprio controllo i fondi regionali non spesi, imponendo il taglio delle risorse non impegnate o non erogate dalle Regioni entro e non oltre, rispettivamente, le date del 31 maggio e 31 ottobre 2011, termini assai difficili da rispettare anche da parte delle Regioni più virtuose. Il secondo, il cosiddetto Piano Nazionale per il Sud, ri-centralizza la responsabilità delle politiche per lo sviluppo con la sola condizione di rispettare la distribuzione territoriale delle risorse già definita in passato, reimposta il programma statale su un numero più piccolo di obiettivi e di interventi di grande dimensione (progetti strategici), privilegiando le grandi infrastrutture e forse – per “proprietà transitiva” – i grandi poli culturali del Mezzogiorno. Insomma, la demolizione dei fondi FAS da parte di Tremonti appena due anni fa, che aveva azzerato le risorse sulle quali poteva contare il MiBAC per tutto il settennio, potrà forse trovare una tardiva compensazione ma al costo di ridurre fortemente il ruolo delle Regioni, in un contesto amministrativo e programmatico e poi progettuale interamente da costruire, e questo a soli due anni dalla scadenza formale del ciclo programmatico europeo (che si chiude nel 2013, posticipato al 2015 per la regola comunitaria “n + 2”).
Se questa è la corretta interpretazione delle azioni del Governo, è possibile fare due osservazioni. In primo luogo, il limite di questi atti di “radicale” riprogrammazione delle risorse, non sta tanto nelle questioni di conflitto di competenza tra Stato e Regioni, tema che ai cittadini non interessa minimamente, quanto nella praticabilità di modificare complessi processi programmatici. L’effetto principale di questa riprogrammazione è di ricominciare tutto daccapo: recuperare risorse non spese dalle Regioni, rimontare un programma e dargli esecuzione, progettare gli interventi e realizzarli. Considerando la delicatezza e la fragilità dei beni culturali, è difficile che questo profondo mutamento possa realizzarsi senza incorrere nel disimpegno automatico previsto dagli accordi comunitari. In secondo luogo, qualora Pompei beneficiasse di questo mutamento (il bene è certamente la risorsa più rilevante del Mezzogiorno), è bene ricordare che i problemi sorti durante questi ultimi anni ha riguardato proprio la capacità di spesa della Soprintendenza Archeologica di Pompei, in un territorio caratterizzato da rischi elevati di ordine economico, ambientale e sociale, non ultimo quello della camorra. L’impasse interno della Soprintendenza di Pompei era originato da varie cause: distorsioni funzionali ed organizzative, difficoltà di gestione del personale, burocratismo, personale insufficiente, carenze tecniche e professionali, inesperienza riguardo le complesse procedure di evidenza pubblica. L’esperienza del commissariamento non credo vada ripetuta, viste le polemiche ed i risultati ottenuti. Ben venga il potenziamento del personale delle Soprintendenze (30 archeologi e 40 operai specializzati), anche se deve essere messo in rilievo il fatto che non risulti negli elenchi l’assunzione di personale con competenze relative alla valorizzazione (marketing, didattica, ecc.). Rimane dunque aperto il tema della riorganizzazione istituzionale ed organizzativa, che il Ministero Bondi identificava nel modello della “fondazione”. Il problema di fondo di Pompei non è istituzionale, ma organizzativa e sociale. Un Piano per Pompei è possibile se si mettesse mano ad entrambe le questioni.
Alessandro F. Leon è economista della cultura