In questi mesi il settore dello spettacolo italiano sta attraversando un periodo di fermento che in alcuni casi si manifesta con proteste più o meno rumorose. Ne è testimonianza l’occupazione del Teatro Valle di Roma ma anche la nascita di nuove realtà associative di categoria (Zeropuntotre, S.a.l.a., ecc.).
Tutto ciò induce a fare qualche riflessione sul dibattito in corso. Il “problema” dello spettacolo è quasi (e forse anche in modo legittimo) esclusivamente incentrato sulla carenza di fondi pubblici. Questa non è una novità: i tagli dello Stato allo spettacolo si susseguono ogni anno da ormai 20 anni. Di nuovo c’è che ora i tagli vengono anche dalle Regioni, dai Comuni e dai privati che con la crisi finanziaria hanno dovuto rivedere le proprie politiche di bilancio per far quadrare i conti.
Il Teatro Valle poi è la punta di un iceberg; la chiusura improvvisa dell’ETI, che lo gestiva, l’ha trasformato in un esempio (da non seguire) di come si affrontano i problemi in situazioni di “emergenza”. Abbiamo avuto per un anno un teatro gestito direttamente dal Ministero (e lo sarà almeno fino al 1° luglio 2011), fatto questo che non può ascriversi nelle politiche di un paese liberale.
Dispiace ripetermi, ma purtroppo ciò che manca (oltre i fondi pubblici) è una coerente politica culturale che consideri i settori dello spettacolo e delle industrie culturali uno strumento di crescita economica oltre che sociale del paese. Varie esperienze internazionali ci insegnano che quando ciò avviene, i risultati in termini di occupazione, distribuzione del reddito e di sviluppo economico sono evidentissimi. Dall’altra parte però il mondo della cultura dovrebbe trovare una piattaforma comune di contrattazione, una linea di azione coordinata che parta dalla consapevolezza del ruolo cruciale che gli operatori culturali svolgono nelle società contemporanee. Protestare è utile e legittimo, farlo con una precisa piattaforma programmatica che proietti il settore verso “il futuro che sogniamo”, e non con il metodo delle approssimazioni successive, è di certo un passaggio necessario per fare un salto di qualità nella gestione dei rapporti istituzionali e delle “relazioni industriali”.

Giulio Stumpo è economista della cultura