L’ultima posizione – in ordine di tempo – è stata quella di Wikipedia Italia che il 4 Ottobre si è autocensurata per protestare contro quella che ha definito “una legge sciocca”. Motivo della protesta: l’estensione dell’obbligo di rettifica – già previsto dalla Legge sulla Stampa per i quotidiani, i periodici e le agenzie di stampa – al web. La posizione di Wikipedia è l’ultimo esempio di come sia diventato quasi impossibile affrontare il tema della regolamentazione delle intercettazioni con atteggiamento neutro ed equilibrato. La contrapposizione delle opinioni è quasi insuperabile: chi è a favore di una riforma (e non necessariamente di questo disegno di legge in discussione) è – a giudizio di chi invece la contrasta, e senza possibilità di distinguo – contro la democrazia e vergognosamente a favore di una proposta di legge fatta per una persona, o per una parte politica o contro un potere dello Stato. Chi invece è contro assume spesso un atteggiamento preconcetto, non basato su una conoscenza o per lo meno su una lettura attenta della materia in discussione, come se qualsiasi limite alle intercettazioni sia un attentato gravissimo alla libertà.  Quanti sanno ad esempio che esiste già nel codice di procedura penale una stringente disciplina delle intercettazioni? Quanti di quelli che sono spaventati  della censura informativa sul web sono a conoscenza (e Wikipedia sembra non saperlo) che l’obbligo di rettifica esteso ai “siti informatici” è una modifica inserita nella Legge sulla Stampa (a proposito: la rettifica è un obbligo che esiste per la Stampa fin dal 1948, e nelle stesse forme che ora vorrebbero estendersi anche al web) e che come tale troverebbe applicazione alla stampa on-line come logica conseguenza dell’evoluzione tecnologica? Quanti sono a conoscenza che da anni la Corte di Cassazione ha con le sue pronunce differenziato nettamente blog, siti web e stampa, rendendo inapplicabili a blog e siti web i vincoli e gli obblighi normativi vigenti per la stampa?
Sembra così essersi persa di vista l’unica “bussola” che deve guidarci nelle valutazioni sul tema: la domanda se non vi sia realmente bisogno nel nostro Paese (e in generale nella Società dell’Informazione Globale in cui tutti noi viviamo) di un corretto contemperamento tra due diritti ugualmente fondamentali quali quello all’informazione (informare ed essere informati) e alla riservatezza. E la risposta non può che essere positiva. Un diritto e una libertà all’informazione assoluti e senza limiti sono ugualmente pericolosi per la democrazia e totalitari al pari della censura. Si può essere contrari alla specifica riforma normativa (dopo averne letto con attenzione i contenuti ed essersene fatti una idea personale e non indotta). Ma essere pervicacemente contrari a perseguire (in modi anche diversi dalle proposte in discussione) il necessario equilibrio tra privacy e libertà di informazione è il vero allarme democratico.

Alessandro del Ninno – Avvocato esperto di Diritto delle Tecnologie dell’Informazione – Professore a Contratto presso l’Università  LUISS Guido Carli di Roma.