Quando ero adolescente, mio nonno, Emilio Crespi, stimato direttore generale della Snia Viscosa fino ai primi anni ’70 del secolo scorso, mi illustrava con passione una proposta che portava avanti negli ultimi anni della sua carriera professionale, in merito all’opportunità di responsabilizzare i lavoratori nei confronti del buon funzionamento dell’azienda.
Da appunti e documenti che ho trovato recentemente nelle sue carte ho capito che si trattava, in particolare, di impostare una modalità di calcolo che permettesse al lavoratore di “percepire una percentuale degli utili risultanti dalla differenza fra l’ammontare dei costi di trasformazione del prodotto ed il totale delle spese effettivamente sostenute (costo effettivo)”.
Tale sistema non avrebbe reso i lavoratori coinvolti nell’utile di impresa (non sempre necessariamente in positivo), ma nel buon andamento industriale, mitigando, ove possibile la conflittualità sociale e favorendo il migliore rendimento della produzione. Egli era il nipote del fondatore e figlio del realizzatore del massimo sviluppo del progetto industriale del cotonificio di Crespi d’Adda, unico sito di archeologia industriale del paese ad essere iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO e fin da piccolo ne aveva respirato i valori etici, estetici e ambientali, caratterizzati da un approccio umanistico del rapporto tra imprenditore/impresa e benessere dei lavoratori, che hanno motivato il riconoscimento dell’organizzazione internazionale.
La notizia della settimana scorsa dell’apporto che i lavoratori del Maggio Musicale Fiorentino forniranno  ai costi di risanamento del teatro mi ha fatto tornare in mente quei discorsi del nonno e fatto ragionare su un ingrediente che manca in gran parte delle istituzioni culturali nostrane pubbliche: l’incentivo alla produttività, molla ed alimento essenziale per incrementare e nutrire la motivazione.
Le maestranze saldamente sindacalizzate dei nostri musei pubblici, come quelle degli enti lirici, ad esempio e l’incapacità politica e amministrativa di snellire le procedure di gestione e rendere effettivamente autonome le istituzioni in questione sono un chiaro esempio di blocco funzionale di un sistema che, dopo la sua paralisi totale non potrà che portare alla sua morte e decomposizione. Al contrario, l’encomiabile gesto dei lavoratori fiorentini ci fa ben sperare nell’esistenza di esempi virtuosi, che dovranno necessariamente essere replicati se vorremo rinnovare il settore culturale e sviluppare  opportunità di crescita e occupazione ad esso legate. E questo dovrà realizzarsi in forme di autonoma e sporadica iniziativa  almeno sino a quando l’attuale inadeguata classe politica italiana non sarà capace di impostare politiche di settore diffuse e condivise, in cui pubblico e privato riusciranno ad essere mutualmente responsabili della vita delle nostre istituzioni culturali. 

Emilio Cabasino è docente di economia della cultura all’Università della Tuscia