Nei giorni scorsi si è assistito ad un’inversione di tendenza per quanto riguarda le politiche del Governo per il patrimonio culturale italiano: il CIPE, durante la seduta del 23 marzo scorso, ha assegnato 76 milioni di euro per alcuni progetti culturali, in base al principio che l’azione di tutela e di valorizzazione delle risorse culturali nazionali costituisce una leva strategica per lo sviluppo economico e sociale territoriale.

Gli investimenti riguardano un’ampia lista di musei, aree archeologiche e complessi monumentali, comprendente la Grande Brera, la Galleria dell’Accademia di Venezia, il Palazzo Reale a Napoli, il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, il Museo di Capodimonte di Napoli, il Museo Archeologico Nazionale di Taranto.
Inoltre, la lista contiene i poli museali di Melfi-Venosa e di Palermo e i due Musei Archeologici di Cagliari e di Sassari. Dopo alcuni anni durante i quali i beni culturali erano stati spogliati sia di risorse pubbliche in conto capitale sia di quelle in conto corrente, si propone il potenziamento di alcuni grandi attrattori noti in tutto il mondo. La scelta dei siti è almeno divisibile in due componenti: da un lato, si interviene su progetti di rilevanza internazionale già in corso di realizzazione, benché incompleti per varianti in corso d’opera o per un’attuazione sin dall’origine solo parziale; dall’altro, si finanziano i poli museali di eccellenza del Mezzogiorno, una linea di azione comune del Ministero per i beni e le attività culturali e del Dipartimento per le politiche per lo sviluppo e la coesione economica che ha prima identificato i poli sul territorio meridionale e poi ne ha finanziato la progettazione.

Il significato politico di questa operazione è importante, ma è utile sottolineare che si finanzia la cultura non perché è un bene che ha valore in sé, ma perché produce direttamente od indirettamente reddito ed occupazione. La cultura genera sempre un’economia, ma essa non è sempre immediatamente visibile. Ad esempio, l’azione di contrasto delle Soprintendenze per i danni al patrimonio ed al paesaggio urbano e agricolo prodotti da un’industria edilizia aggressiva, influenza positivamente il reddito del territorio nel lungo periodo, favorendo l’efficienza dei servizi pubblici, evitando inutili e costosi interventi infrastrutturali e della loro successiva gestione.

Ma nel breve termine, gli enti locali considerano la cancellazione di tali progetti imprenditoriali un danno per l’economia locale. Il fatto che molti benefici della cultura non siano misurabili o che andrebbero considerati nella loro aggregazione nel lungo periodo, ha incentivato il declino della cultura rispetto ad altri settori pubblici come la sanità, l’assistenza sociale e la scuola. Poiché il lavoro di tutela e di valorizzazione dei beni culturali è spesso congiunta, favorire solo il campo della cultura che genera sviluppo, senza un adeguato potenziamento delle attività di salvaguardia, rischia di far venire meno anche i benefici futuri attesi prodotti dalla cultura che genera sviluppo.

Il crescente declino del personale delle Soprintendenze e dei costi di funzionamento delle organizzazioni museali – non compensata dalla crescita da parte delle Regioni e degli enti locali come auspicato dalla riforma costituzionale del Titolo V – lascia il mondo della cultura in un limbo pericoloso e preoccupante.

La ripresa “centralistica” dell’intervento pubblico, anche in questo in controtendenza rispetto alle attese prodotte dalla riforma costituzionale, può avere successo se e solo se si metterà mano anche al funzionamento delle organizzazioni, finanziandole adeguatamente. Altrimenti il rischio è di realizzare contenitori belli ma vuoti, incapaci di generare i rientri attesi sia sotto il profilo culturale sia sotto quello economico. Il richiamo a fantomatici e generici finanziamenti privati è strumentale o figlia dell’incapacità di competere sulle risorse con altri settori pubblici importanti. La scelta è difficile: spetta al Governo trovare le compatibilità economiche e finanziarie necessarie per favorire gli interventi per la cultura capaci di generare sviluppo.

 

Alessandro Leon è economista della cultura