Che cosa ci fa la cultura sul web? La vulgata continua a insistere sulla solidità dei sassi antichi, e anche le cose schedate come intangibili si devono poter toccare, vedere, ascoltare di presenza. Certo, nella dimensione virtuale allignano non poche cose che rientrano nelle aree dell’arte e della cultura; il punto è capire come il mondo digitale viene visto e usato dalla cultura.

A ben guardare, la cultura mainstream tende a usare il web in due modi essenziali: canale di comunicazione e di pubblicità, basta guardare le pagine che molte organizzazioni culturali (teatri, soprattutto; gallerie, un pochino; musei, raramente) tengono attive su facebook, così come basta misurare intensità e frequenza del cultural tweeting. Va bene. Il secondo canale è quello della riproduzione di norma statica per quanto affascinante di quanto accade nella dimensione analogica; molti musei virtuali non sono che la riproduzione dei loro originali del mondo reale. Va bene, ma forse non basta.

Poi ci sono alcune punte di diamante, molto cariche di stimoli ma forse insufficienti. La digitalizzazione di opere esposte consente un risparmio di energia negli spostamenti fisici del fruitore, e poi? Ci sono altre aree magari un po’ nascoste ma rivelatrici di opzioni emergenti, basti pensare alla produzione di testo culturale e di scambi critici che si colloca tra blog, siti web dinamici, nicchie del web 2.0.; user generated contents, che il salvagente convenzionale sul quale la cultura cerca di galleggiare tende a derubricare come fenomeni adolescenziali e comunque di scarsa rilevanza. Come se il supporto cartaceo potesse garantire la qualità dialogica delle cose scritte.

Il punto dolente è sempre lo stesso. Che valori intende erogare la cultura? Il web enfatizzerebbe dei canali e delle opzioni relazionali che di solito l’offerta culturale e l’establishment che ne determina le sorti tendono a snobbare: il pubblico ha il dovere di organizzarsi e di recepire il messaggio formativo; se gli si pone qualche domanda spesso ci si limita a sesso, età, titolo di studio e professione, tutte cose che non possono rivelare nulla sulle motivazioni e sui percorsi di apprezzamento e metabolismo cognitivo; le possibili – e scoraggiate – interazioni sono ritenute significative solo se combaciano con la visione di chi decide.

Le opportunità nascoste tra e pieghe del web sarebbero ben altre, da un’offerta che finalmente mette a fuoco il coagulo di rimandi ed evocazioni che permettono una sostanziale digestione dell’offerta culturale, a una domanda che anziché scoraggiarsi comprende che metà del valore culturale risiede nella capacità metabolica del fruitore, così come nella sua attitudine ludica, nella sua curiosità prospettica, nel suo coraggio di contemplare. C’è ancora molto da fare. Il web non è un’immagine del mondo reale, è un mondo diverso che può forgiare relazioni inedite e cariche di valore. Basta non averne paura.

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro