Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Il MOCA, the Museum of Contemporary Art, è uno degli edifici simbolo della città di Los Angeles. Fondato nel 1979, il museo ha tra i suoi principali sostenitori Eli Broad, il potente uomo d’affari americano che ha contributo con un finanziamento di 30 milioni di dollari a salvare il museo dalla profonda crisi finanziaria che lo aveva colpito nel corso del 2008, e che ha sovvenzionato la costruzione di altre importanti opere architettoniche, tra le quali la Disney Hall e il LACMA, che svolgono oggi un ruolo fondamentale nel trasmettere una nuova immagine della città californiana, quale centro nevralgico delle espressioni artistiche e dei fenomeni culturali emergenti.
Conosciuto soprattutto per l’elevata qualità e la rilevante valenza artistica delle mostre e degli eventi organizzati al suo interno, il MOCA è tornato in questi giorni a far parlare di sé a causa di una serie di eventi che si sono succeduti in tempi relativamente brevi. Risale al 28 giugno la notizia del licenziamento dello storico curatore del museo, Paul Schimmel, costretto a lasciare il suo posto dopo 22 anni per una probabile “divergenza di visioni” con il direttore Jeffrey Deitch, stando ad alcune indiscrezioni e ad alcuni commenti rilasciati da artisti vicini a Schimmel.
Successivamente in meno di una settimana – da giovedì 12 luglio a lunedì 16 luglio – i quattro artisti, John Baldessari, Catherine Opie, Barbara Kruger, Ed Ruscha che fanno parte del Board of Trustees del MOCA hanno rassegnato le proprie dimissioni, un atto che suona più come un campanello d’allarme che come una protesta, secondo l’opinione espressa dal critico d’arte Christopher Knight sulle pagine del Los Angeles Times.
Caso insolito per un museo, il MOCA ha avuto la fortuna di avere tra i membri del suo Board la diretta espressione di quel complesso universo di cui esso stesso aspira ad essere uno dei massimi rappresentanti. Non può lasciare indifferenti la reazione, quasi simultanea, di quattro artisti che non si riconoscono più in un’istituzione che pare anteporre gli interessi economici alla propria mission culturale, isolando proprio quei membri del Board deputati ad indicare al museo la visione dei prossimi anni.
Non credo che nessun altro possa esprimere meglio di Catherine Opie e Barbara Kruger le motivazioni alla base di tale scelta. Nell’e-mail di dimissioni inviata dalle due artiste alla direzione del museo si legge che la loro decisione di lasciare il MOCA “non ha a che fare con un particolare gruppo di persone, con attori bravi o meno bravi. Essa riflette la crisi in atto nell’ambito dei finanziamenti alla cultura. Ha a che fare con il ruolo rivesto dai musei in un sistema culturale in cui l’arte visiva continua ad essere marginalizzata, eccezion fatta per il brusio che circonda il mercato secondario delle vendite; ha a che fare con l’evidente ri-taratura del significato di “filantropia”; ha a che fare con la trasformazione del cosiddetto “mondo dell’arte” nell’unica bolla speculativa che non è ancora scoppiata (almeno per i prossimi 20 minuti). Le mostre, serie e importanti, possono ancora essere sovvenzionate senza che un finanziatore ne tragga un interesse personale? Il pubblico può essere considerato una credibile fonte di guadagno per i musei? Lo è mai stato? Sono queste le domande che vi rivolgiamo”.
Sono le stesse domande che forse dovremmo indirizzare anche a coloro che dirigono e amministrano la cultura in Italia.
Vittoria Azzarita è caporedattrice di Tafter Journal