Mi sono sempre chiesto quali poteri prodigiosi avessero certe località turistiche, luoghi come Capalbio, Cortina, Cetona passando per la Costa Smeralda e Forte dei Marmi dove ogni anno per l’estate e per l’inverno si riuniscono sempre i soliti nomi, i soliti volti in barba ad una Italia che sta cercando di cambiare faccia: oddio, ma sta cercando veramente di cambiare pelle o sta solamente effettuando una delle sue mille trasformazioni gattopardesche?

Tancredi, così amato in patria, continua a divertirsi “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. E in apparenza molte cose stanno cambiando, la stessa comunità Europea ce lo riconosce, addirittura alcuni osservatori francesi – che come sappiamo non sono sempre di buone parole sul nostro Paese – confessando una presa di coscienza della crisi e un tentativo di uscirne. Ma è tutto veramente complicato, perché non è sufficiente cambiare meccanismi incancreniti da decenni per riuscire ad uscire dalla crisi.
Gli apparati istituzionali, come le grandi imprese, sono governati da uomini e questo è il nodo più duro da sciogliere: la difficoltà di penetrare all’interno di meccanismi rodati da decenni e nelle cui poltrone si succedono gli stessi uomini o gli stessi delfini.

In Italia dovremmo incominciare a capire che i sistemi con cui si gestiva prima il potere  non sono più legati all’essere di destra o di sinistra. Come ricordato dalla Arendt con la fine di questo secolo è terminato il periodo dei massimalismi ideologici, ma la nostra politica ancora ci gioca, ci si diverte perché ad oggi rimane l’unico modo per difendere le proprie autorità.

La contesa politica è quindi solo una farsa per difendere i rispettivi “giardini”, in quanto siamo un paese che resiste e si difende non per visione della nostra politica, ma per il coraggio delle “minoranze attive” quelle che Giuseppe De Rita aveva individuato qualche anno fa in un rapporto Censis mettendole i prima linea come propulsori della crescita di questo paese.

La gestione dell’apparato culturale e turistico rappresenta uno degli ultimi baluardi di uno stalinismo che un paese come il nostro non si può più permettere.
Ho apprezzato le ultime affermazioni del mio amico Resca, appena dimessosi dall’incarico di direttore generale per la valorizzazione dei Beni Culturali in cui ammette che lo Stato non è più in grado di valorizzare l’immenso patrimonio che noi deteniamo. Uomo molto discusso in Italia, ma che considero lucido e coraggioso nelle sue valutazioni, Resca ha a mio avviso il solo demerito di essersi arreso troppo presto in questo disperato tentativo di “liberalizzare”, o meglio dire rendere più regolare, il nostro sistema dei servizi aggiuntivi.

Forse dovremmo veramente ripartire da qui e non inserire all’interno del ministero una direzione per la valorizzazione, avendo il coraggio di esternalizzarla studiandone sistemi e procedure per un controllo, non limitandone però gli ambiti. Tenere all’interno del ministero i temi del restauro e della conservazione e lasciare ai privati la piena valorizzazione del nostro Patrimonio culturale.

Ecco, ripartiamo da qui: ripartiamo dalla possibilità degli uomini di cambiare il destino del proprio Paese e ribelliamoci all’accettazione sempre in modo sconsolato del turn over degli stessi uomini. Mai come in questo momento possiamo farcela. Non temiamo le politiche impopolari di Monti, ma a lui chiediamo solo tre cose: libera concorrenza, lotta all’illegalità e un apparato burocratico meno medioevale e, come ultimo, quello di non avvalersi sempre dei soliti noti, ma di avere il coraggio di scegliere per meriti anche senza gli endorsment dei poteri stessi. Questo nell’illusione che lo stesso Monti sia un uomo imparziale di giudizio e non anche lui messo lì da lobby europee come Trilateral o Bildemberg.

Il Paese può cambiare e può finalmente aspirare a diventare un Paese non solo per vecchi. Ma dipende solo da noi. Al mio Ferragosto chiedo di saper ringiovanire, guardando con ottimismo al futuro.

Stefano Monti è direttore editoriale di Tafter.it