Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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E poi, un giorno verranno i turisti giapponesi per fotografare il ponte sullo Stretto, una delle opere più ardite del mondo. E’ l’affermazione, oleografica e sciovinista, che chiude di solito le lunghe e accese discussioni sul ponte. Chiaro sintomo di quanto arretrato e dissennato sia un dibattito con pochi argomenti tecnici e con molta rancorosa nostalgia di un futuro a buon mercato.
Il ponte è una chimera, di quelle che si aspettano per molte generazioni (anche gli antichi romani ci avevano fatto un pensierino). Non serve a molto, soprattutto considerando l’assetto delle strade, delle ferrovie, se vogliamo essere cattivi anche lo scarso fabbisogno di infrastrutture che un’economia lenta e pigra finisce per rivelare. E se proprio volessimo orientare l’Isola verso commerci interessanti il mare sarebbe la strada da scegliere, guardando al Mediterraneo e non certo alla Scandinavia.
Ma il ponte è il frutto avvelenato di un’ideologia fatta di autoassoluzioni e di giustificazioni.
Basterebbe rileggere le Verrine, o se si vuole restare in un periodo vicino, ripercorrere la storia del prefetto Mori. Una terra subalterna per scelta, molto furba e spesso poco intelligente (come dire tattica ma non strategica), pronta a schierarsi con un dominatore più nuovo del precedente e quindi più facile da incantare. Non è una condizione etnica, ma certo antropologica.
Altrove la potrebbero definire un sub-continente, per la sua natura molteplice, la varietà delle sue razze, la scompostezza armonica degli opposti. Qui, al centro del mondo e della civiltà, sembra un errore di grammatica del creatore, così perfetta e al tempo stesso così incomprensibile ai suoi stessi abitanti. Non è solo la messe di risorse terrene e marine, o la continua ibridazione tra genti che la rende un unicum anche sotto il profilo identitario. E’ soprattutto un coagulo di immagini e di scenari, una lettura eventuale del tempo e dello spazio.
Terra senza regole ma con rigide prassi, incurante dell’orgoglio ma ossessionata dall’apparenza, infastidita dalla stasi e terrorizzata dall’azione. Terra che ha un senso finché un braccio di mare la separa non dal continente, ma dal resto del mondo. Lì le cose possono, forse devono seguire una logica. In Sicilia non ce n’è bisogno. Il ponte ha una valenza simbolica, ed è proprio per questa che non va costruito. Così i siciliani dovranno comunque fare i conti con sé stessi, che in sintesi estrema vuol dire soltanto scegliere se restare o andar via.
Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro
Questo è un estratto di un articolo apparso all’interno della rivista InStoria