Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Li ammiro i pubblicitari, i creativi, gli sceneggiatori, non demordono e inseguono il cliente senza fermarsi davanti a nulla: mitizzano la sfiga se serve, trasformano il disagio (altrui) in (loro) opportunità, cambiano la semantica dei termini, sorridono a chi annega nel fango sperando così di portargli sollievo. In tempo di crisi i consumatori sono disoccupati e, certo, duro diventa il loro lavoro se il disoccupato gli si deprime, se non spende più per trastulli inutili, rinuncia al prodotto di marca, non aggiorna le app dello smartphone o l’auto, smette pure di farsi lo spritz e di scommettere sui goal dell’Albinoleffe.
Il fatto che un paio di generazioni non comprino come e cosa si è deciso per loro li mette in crisi.
Ecco allora che il genio si accanisce sul disoccupato per evitare di diventarlo lui stesso.
“UNEMPLOYED OF THE YEAR” è la nuova campagna di Benetton per vendere magliette e calzini. In Benetton, ovviamente, non si capacitano del fatto che i disoccupati stiano diventando consumatori imperfetti e preferiscano rattoppare la mutanda piuttosto che comprare l’underwear e considerino i jeans ereditati dal cugino un dono del cielo. Per questa pubblicità hanno preso attori a cui hanno assegnato la parte dei finti disoccupati in completino mistolana e camicetta noironing, e inneggiano alla fortuna di essere a spasso perché così si ha il tempo di partecipare tutti a un concorsino per vincere 5.000 euro, giusto quanto serve a cambiare il guardaroba.
Come il disoccupato sia incastonato nel cuore dei media e nel mirino degli inserzionisti è evidente anche in “THE APPRENTICE”, il nuovo reality in cui Flavio Briatore, improbabile leader senza macchia e senza paura, icona di coloro che hanno finora consumato il presente dei giovani per dare un futuro a se stessi, taglia teste a baldi volontari lampadati che vorrebbero lavorare per lui (e già per questo andrebbero comunque puniti).
Si percepisce la necessità di aver un bel disoccupato tranquillo, pulito, integrato e pettinato, del cui benessere preoccuparsi, disposto a tutto per essere all’altezza di ciò che chi ha pianificato il suo futuro si aspetta da lui, voglioso di essere adottato ma non progettato per essere rispettato.
Sembra opportuna l’istituzione di un cavalierato anche per il non lavoro. Già ne posso immaginare la celebrazione, con Emanule Filiberto che consegna il titolo di Cavaliere del Non Lavoro a Pino da Perugia che si è comprato il Freelander coi soldi della pensione dei nonni e a Sara da Pordenone che ha raggiunto l’invidiabile primato di 30 stage non retribuiti. Sì, del disoccupato ne propongo la nomina da parte dell’Unesco a patrimonio dell’umanità.
Samuel Saltafossi è sociologo della complessità