Coerente con quanto stabilito nel 1982, la Francia rinuncia a tassare le opere d’arte che rientrano nel patrimonio dei più ricchi cittadini. L’insidia stava in un emendamento propo¬sto da un parlamentare socialista, il sistema culturale si è subito ribellato e il go¬verno ha confermato l’esenzione dell’arte dalla tassazione dei patrimoni. Che le tasse facessero male all’arte lo aveva già scritto Keynes nel 1936, in tempi non ossessionati dalla chimera delle sponsorizzazioni, che invece continuano a catalizzare quel poco di discussione sul tema che ancora sopravvive in Italia. A ben guardare nel labirinto tributario del nostro Paese si scoprono varie cose: la legislazione sull’esenzione fiscale è davvero generosa ma pervasa da cavilli, quello che manca per il sostegno societario è la motivazione, cosa del tutto comprensibile in un sistema soffocato da formalismi e burocrazia; l’imposta sul valore aggiunto, imparzialmente salata e non sempre armonizzata con le aliquote del resto d’Europa, tende a omogeneizzare l’arte e la cultura (pensiamo ai libri e ai dischi, ahimè) con qualsiasi prodotto manifatturiero; le imposte sugli immobili e sui redditi da lavoro ignorano la specificità delle attività e delle professioni culturali, soprattutto il loro infungibile apporto alla qualità della vita urbana. Qui non si tratta di abolire la tassazione ma di ridisegnarne struttura e dinamiche in modo da non gravare stupidamente su un settore produttivo che genera sicuramente una cascata di effetti positivi e soprattutto può inoculare nell’intera economia l’enzima della creatività e dell’innovazione, la sintassi della cooperazione progettuale, la grammatica dell’ascolto reciproco e del dialogo multiculturale. Liberando la cultura dal giogo tributario si potrebbero stimolare energie che altrimenti si spostano su altre attività o semplicemente emigrano. La questione non è soltanto tecnica. Prima ancora, è culturale: capire il valore dell’arte e l’importanza della sua circolazione e diffusione non è un gesto di dotta benevolenza, ma un’accorta strategia di crescita civile ed economica. Se il governo se ne accorgesse potrebbe finalmente mostrare che un regime fiscale leggero e incisivo vale molto più delle frasi da bacio perugina che tuttora pervadono il lamentoso dibattito sulla cultura italiana.

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro