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Il 29 novembre 2012 con ris. 67/19 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha attribuito alla Palestina lo status di Stato non membro osservatore permanente presso l’Organizzazione. La decisione è stata presa con il voto favorevole di 138 Stati membri, 41 astensioni e 9 voti contrari (Canada, Repubblica Ceca, Israele, Isole Marshall, Micronesia, Nauru, Panama, Palau e Stati Uniti). La data del 29 novembre non è casuale, infatti lo stesso giorno nel 1947 le Nazioni Unite, con la ris. 181, decidevano la ripartizione della Palestina in due stati, uno arabo e l’altro ebraico. Sempre il 29 novembre, ma del 1988, Yasser Arafat proclamava, unilateralmente, la nascita dello Stato palestinese.
Si ricordi che la Palestina godeva dello status di osservatore permanente presso l’ONU fin dal 1974, al pari degli altri movimenti di liberazione nazionale e che, dal luglio 1998, gli era stato riconosciuto uno status rafforzato (ris. n. 52/250). L’Assemblea generale aveva infatti concesso alla Palestina il potere di partecipare al dibattito, di intervenire e prendere la parola anche su questioni non strettamente connesse al popolo palestinese o al Medio Oriente, di chiedere l’iscrizione all’ordine del giorno di provvedimenti riguardanti la questione palestinese e di proporre progetti di risoluzioni in tale materia. In quest’ultimo caso, però, per essere messo ai voti il progetto doveva essere co-presentato da uno Stato membro dell’Organizzazione.
La decisione di qualificare la Palestina come Stato non membro osservatore fa seguito alla domanda di ammissione presentata il 23 settembre 2011 alle Nazioni Unite per divenirne membro a tutti gli effetti.
La richiesta venne però bloccata dal Comitato sulle ammissioni del Consiglio di sicurezza, cui spetta il compito di verificare se lo Stato candidato presenta i requisiti per aspirare a divenire membro dell’Organizzazione (essere uno Stato indipendente, autonomo, amante della pace e in grado di adempiere agli obblighi che discendono dalla Carta delle Nazioni Unite), a causa dell’opposizione di alcuni Membri permanenti. Si ricordi che, ai fini dell’ammissione all’ONU, la Carta predispone che la decisione spetti all’Assemblea generale su proposta del Consiglio di sicurezza che deve però decidere a maggioranza di nove Membri compresi i quelli permanenti, con possibilità per questi di esercitare il loro diritto di veto (cosa, questa, minacciata dagli Stati Uniti).
Alla sconfitta in seno all’ONU seguì per il Governo palestinese la vittoria diplomatica all’UNESCO, dove la domanda di ammissione venne invece accettata il 23 novembre 2011, nonostante l’opposizione di 14 Stati.
Dalla qualità di Stato non membro alle Nazioni Unite non derivano in realtà privilegi ulteriori rispetto a quelli già acquisiti dalla Palestina: in quanto tale non ha, infatti, diritto di voto né tanto meno può divenire membro degli organi sussidiari dell’Organizzazione.
Dal punto di vista del diritto internazionale la Palestina potrà invece, come Stato, divenire parte di trattati internazionali multilaterali, nonché accettare la giurisdizione della Corte penale internazionale. In quest’ultimo caso, infatti, la richiesta già avanzata dalla Palestina venne respinta dal Procuratore generale perché “non era uno Stato”.
Secondo gli Stati Uniti la decisione di riconoscere la Palestina come Stato non membro avrà ripercussioni negative sul processo di pace tra arabi e israeliani; Israele, invece, ritiene che l’Autorità nazionale palestinese, presentando domanda di ammissione all’Onu, abbia violato gli Accordi di Oslo del 1993, in base ai quali la Palestina sarebbe potuta diventare uno stato solo attraverso un processo negoziale tra le parti.
A livello europeo hanno sorpreso le astensioni di Germania e Gran Bretagna e la decisione dell’Italia, dopo alcuni tentennamenti, di votare a favore dell’ammissione, Stati, questi, storicamente “amici” di Israele.
Andrea Crescenzi è tecnologo presso l’Istituto di Studi Giuridici Internazionali del CNR