Le notizie che il Papa cinguetta su Twitter come una bianca colomba, che Berlusconi si avvale di 2000 volontari per la gestione dei propri cip cip, che Passera cerchi miglio in un ambiente onomatopeicamente a lui così consono, si vanno a sommare ai mille altri esempi che spingono questa piattaforma tra i luoghi del virtuale dove dire la propria. Come ogni generatore di profezie che si autoavverano, anche questo social network dà a chi vi è attivo la sensazione di esistere e di disporre di opinioni proprie, e di avere abbastanza ragioni per trovare un pubblico.
Certo, chi tra voi non si chiede cosa avrebbe detto Michele di Ecce Bombo in proposito? Forse “Mi si nota di più se mi iscrivo su Twitter e non cinguetto, o se non mi iscrivo proprio?” o l’altro Michele, quello di Bianca, ai commensali “Non ti piace Twitter? Bene, continuiamo così, facciamoci del male”, o il Michele di Palombella Rossa che in un rigurgito di indignazione old economy avrebbe di certo esclamato “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”
Twitter con i suoi 140 caratteri è perfetto per informare il mondo che “L’esercito kirmiscio ha invaso l’Eurandia e io me la fo’ sotto” che “Per il bene del Paese salgo in politica tenendomi di lato” che “Dio c’è. Vendo Papamobile bianca quasi nuova” e anche che “Cercasi candidate maggiorate con fedina penale diamantata”. Nella sua semplicità è dunque opportunamente inadatto a articolare pensieri non banali, utili al dibattito. È dunque perfetto per il nostro Paese.
Da noi 140 caratteri vanno bene per comunicare “laqualunque”, e avanza anche qualcosa per i saluti a casa. Le frasette dei politici suonano consolatorie come i pannicelli caldi della medicina popolare. Si perdono gioiosamente nel vento. Credono di poterle usare per lenire la sfiducia verso di loro, verso la politica e verso il futuro che invece svolazza allegro verso altri continenti lasciandoci stonati come fringuelli congelati sul filo, già frolli per la polenta cinese.
Twittando, il politico si candida tautologicamente a paladino di modernità e innovazione (contribuendo all’impoverimento delle idee e del dialogo) trasformando l’elaborazione del pensiero in una funzione assimilabile a un dispenser di frasi fatte per riempire il tempo, per apparire, per dire qualcosa basta che sia, per giustificare la propria pigrizia, vuotezza e incapacità.
La bellezza di Twitter è che non concede spazio per presentare cure serie per questo Paese, almeno non si ha neppure l’imbarazzo di dover lasciare il foglio in bianco.

Samuel Saltafossi è sociologo della complessità