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Io sono all’apparenza ciò che molti media e opinionisti si ostinano, con sbrigativi e indignati tratti di penna, a chiamare “cervello in fuga”: scappato dall’Italia nel ’97 per non sopportare piú l’umiliazione di concorsoni dall’esito introvabile o illegibile, sono approdato prima in Olanda e poi in Spagna, nella magica Barcellona post-Olimpica dei primi anni 2000, attratto prima da una borsa generosa di “visiting” e poi da un concorso trasparentissimo, a cui sono stato ammesso dopo essermi sottoposto a autocertificazione dei titoli.
Prima lettore, poi dopo solo due anni associato e direttore di Parco Scientifico ho visto, tra il 2004 e il 2007 venire a Barcellona molti miei amici, ex vicini di casa, studenti, fidanzate. 4.5000 italiani in una città dove il tasso di disoccupazione era il doppio che in molte città italiane ma c’era un aria piú respirabile, un clima civico più attrattivo, una mobilità sociale interessante, molta fiducia nel futuro.
Si è un po’ alla volta sviluppata una riflessione anche politica. Tutti “cervelli in fuga”? No, anche baristi, cubiste, doppiatori di film porno, lavoratori del call centre, suonatori di bongo, gelatai e pizzaioli, “erasmus a vita” e agit-prop professionali, perfino un paio di latitanti, moderatamente contenti di stare in un paese ed in una città che non era certo il paradiso in terra (sopratutto per chi comunque deve andare a lavorare e pagare l’affitto) ma non aveva quasi nulla delle malattie ataviche del paese da cui erano scappati, “cuori in fuga” da corruzione, mafie, clientelismo, gerontocrazia, precariato, per non parlare dei vari “mammoni”, “olgette”, “choosy” con cui di volta in volta i sociologi de noantri si affannano a definire la condizione sociale dei giovani in un paese dove si vive e si lavora male. Come diceva un mio amico, meglio chiedere l’elemosina a Barcellona, che fare lo stagista a Brescia.
La crisi che ha devastato l’Euopea dei PIGS ha spazzato via tutto, e oggi io e quei miei compagni e connazionali “cuori in fuga” che siamo rimasti a Barcellona (anziché riemigrare sempre piú lontano) perché abbiamo famiglie, amici e lavori abbastanza stabili stiamo ogni giorno sulle barricate a difendere ció che resta del paese che amiamo – Spagna o Catalogna, secondo i gusti – dal saccheggio inverecondo della cosa pubblica imposto da Bruxelles a una classe politica di serie zeta in un clima da “si salvi chi può” che ricorda gli anni di Tangentopoli.
Però continuamo a guardare divertiti come in Italia, dove in teoria si starebbe meglio, si continua a stare peggio e ci sono pochissimi segni della reazione civile che infiamma ogni giorno le nostre strade con risultati piú che concreti di difesa di diritti e promozione di nuove strutture sociali.
Leggo in questi giorni delle vicende del MAXXi. Questo Museo dovrebbe essere uno degli elementi fondamentali di una strategia nazionale di uscita dalla crisi attraverso la rigenerazione “smart” della nostra economia e dei paesaggi produttivi, che secondo la visione di Europa 2020 mette a valore risorse e conoscenze sedimentate attraverso infrastruttura di altissimo livello e basso impatto, processi di attrazione e socializzazione del sapere, e produzione di narrazioni e immagini positive che favoriscono l’attrazione di capitale umano e investimenti.
È l’unico modo per venirne fuori, non la restituzione dell’IMU né l’ennesimo favore a Marchionne, ma la museistica, la programmazione di eventi culturali, il neoartigianato di qualità, lo slow food, la conservazione dell’ambiente, la ricerca. Processi che devono essere gestiti “dal basso”, in rete, secondo un’ottica di merito che valorizza le competenze acquisite e ne forma di nuove, in base a una strategia territoriale intelligente.
Ma, come vedo, siamo alle solite: un partito (in questo caso “de sinistra”) si impadronisce dell’ideona come se fosse un suo feudo, nomina direttori calati dall’alto e segretari generali con curriculum che non c’entrano niente, dando inevitabilmente la sponda ad altri partiti che pretendono un’altra direzione, un’altra segreteria generale un altro evento, e avanti cosí in un circolo vizioso che non ha mai fine e che ci condanna sempre di più ad essere il tallone d’Achille della rinascita europea.
In Spagna, una vicenda cosí attrarrebbe ogni giorno manifestazioni di centinaia di “indignados” (sembra strano, ma è cosí, ed è successo per nomine infelici del Direttore del CCCB di Barcellona o dell’Istituto delle Industrie Audiovisuali). In Italia merita solo un trafiletto su pochi giornali, perché ci siamo abituati. Ma è l’ennesima conferma che noi cuori in fuga abbiamo fatto bene ad andarcene e che, comunque vadano le cose, è molto difficile che torniamo.
Quando tra pochi anni il MAXXi farà la fine di tante altre buone idee soggette all’antropofagia della politica, non date la colpa alla Merkel.
Antonio Paolo Russo è professore associato nel Dipartimento di Geografia dell’Università Rovira i Virgili di Tarragona, Spagna, e Direttore della Ricerca del Parco Scientifico e Tecnologico del Turismo di Tarragona.