Chiusa la seconda guerra mondiale si riaprì il festival wagneriano di Bayreuth. Tutto il patrimonio di scene e costumi era stato distrutto dai bombardamenti, e l’unica soluzione fu mettere in scena “Tristan und Isolde” sullo sfondo dei panni neri che foderavano il palcoscenico. Soluzione spartana ma inevitabile. La critica esaltò quella che sembrava una scelta estetica e interpretativa: il contrasto estremo tra eros e thanatos emergeva da un gigantesco nero che abbracciava e opprimeva la (poca e intensa) vita dei due protagonisti, luminosi ma minuscoli.
Dopo decenni di opere sfarzose, elefantiache e cariche di effetti speciali viene in mente che la poesia del teatro musicale va in fondo al cuore e al cervello dello spettatore anche senza acrobazie. Non si tratta di fare allestimenti “poveri”, ma di far quadrare la narrazione artistica con la consapevolezza gestionale e ambientale. Abbiamo visto un compare Turiddu apparire in sella a una Harley Davidson, molti soldatini egiziani o picadores sivigliani sfilare a cavallo, il conte Almaviva entrare in scena a bordo di una Bugatti. Basta, per favore. Il paradosso è che le messe in scena ardite non parlano al pubblico contemporaneo, al contrario replicano il modello ottocentesco in cui gli atti di un’opera fresca d’inchiostro si alternavano con numeri di danza o addirittura di circo.
Così, “Rigoletto” al Teatro Carlo Felice di Genova e “Rusalka” al Teatro San Carlo di Napoli hanno scelto la via dell’eco-compatibilità, utilizzando materiali riciclati per realizzare i costumi. Al San Carlo è stato assegnato il Premio Ecologicamente, e gli spettatori sono stati invitati a usare abiti riciclati (i più convincenti saranno premiati). Che lezione ne impariamo? Che in un mondo in cui ancora siamo vittime delle etichette e dei contenitori (se non è stampato non è un libro, e così via indefinitamente) l’arte ha una potenza espressiva che può fare a meno di gabbie formali. E magari risparmiando può produrre di più e meglio.
Il segnale è forte, e va metabolizzato. Si potrebbe, ad esempio, valutare il grado di greenness dei teatri d’opera, che con un impianto fotovoltaico e altri strumenti ecologicamente efficaci razionalizzerebbero molto del proprio sforzo produttivo e gestionale. Nel Teatro alla Pergola di Firenze si vedono ancora gli orci che, sotto il soffitto del palcoscenico, servivano a gettare acqua sulle tavole in caso di incendio. Forse un po’ di logica elementare e qualche buon ricordo storico può aiutare i teatri a vivere meglio in un mondo che ogni tanto ne minaccia la sopravvivenza.

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro