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Adesso che, con l’apertura del Conclave, assisteremo a un black out comunicativo nelle vicende della Chiesa cattolica, è il momento adatto per affrontare la questione del nuovo papato, accanto alle considerazioni di ordine culturale e di geopolitica della religione, come una rinnovata sfida comunicativa.
È nota ed è stata analizzata in ogni modo la differente personalità e il differente magistero degli ultimi due papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il risultato è che, dopo un papa generosamente sensibile alle esigenze di popolarizzazione del messaggio evangelico e considerato alla stregua delle pop star su scala globale, il papa dimissionario – per questioni di indole e di personalità – ha preferito mantenere un’immagine più distante dal disbrigo delle questioni ultramondane.
Ora che la Chiesa chiama il successore di Benedetto XVI a risolvere delle questioni di enorme e drammatica complessità, che partono dalla gestione degli scandali che hanno indebolito il Vaticano (pedofilia e Vatileaks su tutti, senza dimenticare le vicende legate allo Ior) e arrivano alla domanda decisiva sul ruolo globale della Chiesa nel nostro prossimo futuro.
Evidentemente, la scelta di una piuttosto che un’altra delle diverse figure di cardinali ammessi alla short list dei papabili, significherà una decisione chiara tra le differenti strategie a disposizione per quella che, a tutti gli effetti, si configura come una campagna di rilancio dell’immagine della Chiesa, del suo dictator e del Vaticano come agenzia globale di influenza. Decidere, ad esempio, se concentrare le energie sulla ri-evangelizzazione dell’Occidente o espandere l’influenza della Chiesa nelle nazioni di nuovo sviluppo, implica differenti strade di ri-costruzione dell’immagine e del ruolo del Papato.
Se la nuova evangelizzazione è, per sua natura, un tentativo di egemonia anche culturale, la “guerra” comunicativa che il nuovo Papa deve accingersi a combattere ha come precondizione la costruzione di un’immagine che sappia incarnare contemporaneamente gli aspetti tradizionali del messaggio evangelico e l’apertura alle istanze della contemporaneità, e dei suoi canali comunicativi, a partire dalle più moderne tecnologie di comunicazione. A prescindere dalla nazionalità o dalla “cordata” vincente, la Chiesa oggi ha disperatamente bisogno di un Papa social. Un Papa 2.0. Questa, più che il cedimento dottrinario e l’orizzontalizzazione delle gerarchie, è la vera rivoluzione di cui ha bisogno la Chiesa cattolica.
Angelo Mellone è giornalista e scrittore, dirigente di Radio Rai
Foto di Franco Origlia