Tesoro, mi si stanno restringendo i monumenti … chissà se un giorno qualcuno ci farà un film; le teste critiche non mancano, da Moore a Emmott. Ma nel frattempo forse potrebbe essere utile abbandonare i consueti (e consunti) costumi da guelfi e ghibellini. Quel viandante che si trovasse a passeggiare accanto ai templi della Concordia e di Giunone nella Valle dei Templi si stupirebbe certo di quel patchwork urbanistico che l’involontaria creatività di molti amministratori ha costruito tra sassi antichi e cementi armati. Se ne è parlato tanto, ma nel frattempo chi firmava le carte bollate era distratto, o non capiva, o semplicemente aveva incassato il pretium sanguinis (banconote, mica sesterzi).

Ora, che succede dopo decenni di letargo? Si propone di restringere la demanialità dell’area escludendone le zone perdute, e si accende la miccia della polemica. I ghibel-lini dimenticano che la competenza in materia di beni culturali in Sicilia è regionale, per uno Statuto varato ancor prima della Costituzione; i guelfi sopiscono e accomodano in pieno stile curiale; i non allineati – non mancano mai, sono quelli che aspettano di conoscere il vincitore prima di schierarsi – danno un colpo al cerchio e uno alla botte: il partito del “ma anche” gode sempre di molti proseliti. Nel frattempo è il caso di dipanare una convivenza scomposta tra monumenti e case d’abitazione che non si possono certo demolire. Agrigento ha contratto un morbo, chiamiamolo disinvoltura edilizia in spregio della cultura. La questione è facile, tutto sommato: mettiamoci nei panni del degente indecente.

Il medico ha sbagliato, anche con una nostra complicità? Sostituiamolo e cambiamo comportamento; domandarci troppo a lungo di chi possa essere la colpa ci fa solo perdere tempo. Però qualche regola di condotta per i giorni futuri magari ci aiuta a guarire. Le cicatrici sono brutte da vedere ma non si possono eliminare. Però si possono inventare nuove terapie: assistere i vincoli urbanistici con la sanzione credibile del blocco dei lavori e della demolizione con forti sanzioni pecuniarie; destinare una quota rilevante dell’imposta immobiliare a manutenzione, restauro e promozione dell’area archeologica; incoraggiare la comunità residente a fruire dell’area usando le ricevute di trasporti, acquisti culturali (libri, ad esempio) e servizi municipali come buono sconto sui biglietti d’ingresso; emanare un bando internazionale per il manager dell’area da selezionare sulla base di un progetto strategico e da retribuire in base ai risultati conseguiti.

Così volgeremmo lo sguardo al futuro invece di avvitarci nella vana disputa su chi ha peccato. Come pare sia stato detto nella Camera Lacrimatoria, il carnevale è finito. Ma, per favore, non allunghiamo la quaresima. E’ tempo di agire.

 

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro