Da maggio 2005 ?Stéphane Lissner è il Sovrintendente e Direttore Artistico del Teatro alla Scala di Milano e dopo l’estate qualcuno lo dovrà affiancare in modo da subentrargli pienamente nel 2015, quando lui andrà all’Opera di Parigi.
Normale avvicendamento ai vertici? Certo, ma l’individuazione di questo “qualcuno” sta scatenando parecchie controversie, che toccano, per la verità, più temi di tipo economico che questioni artistiche. Non è tanto intorno al nome migliore che per ora si accendono gli animi e le polemiche, quanto piuttosto sull’occasione che questa circostanza pone rispetto al fatto che i dati di bilancio non sono ancora noti, i conti faticano a tornare, servono risparmi, l’integrativo dei lavoratori viene decurtato, lo stipendio del nuovo sovrintendente va ridotto rispetto a quello attuale, anche se non si sa di quanto e per chi.
Quando nel 1996 proprio dal Teatro alla Scala partì la proposta di trasformazione degli ex enti lirici in fondazioni, la situazione degli enti lirici richiedeva certamente una riforma che desse in primo luogo maggiore autonomia ai teatri. L’obbligo di avviare il processo di trasformazione introdotto dal D.Lgs. 29 giugno 1996 n. 367 fu rispettato solo dalla Scala e fu poi invece una trasformazione ope legis quella con cui nel 1998 nacquero le Fondazioni Liriche. Esse sono ora quindi degli enti di diritto privato, che però, per l’assenza di un patrimonio (le fondazioni, tutte, sono – dovrebbero essere – “un patrimonio per uno scopo” al fine di ottemperare alle proprie finalità istituzionali con i frutti del proprio patrimonio) rimangono nella necessità di continuare a ricevere cospicui contributi pubblici per poter coprire i costi di gestione.
E così il presidente della Fondazione Teatro alla Scala è Giuliano Pisapia, in quanto sindaco della città, e certamente non ha un compito facile nel proporre al cda il nome del sovrintendente, partendo dalla estrema difficoltà di individuare una procedura adatta per individuarlo (sembra, un bando pubblico). Un politico ha dunque il compito di trovare un manager che, accettando uno stipendio ragionevole, gestisca secondo una logica privatistica una fondazione e, soprattutto, i suoi dipendenti, la quale però per funzionare ha bisogno dei trasferimenti pubblici del FUS, e che sia all’altezza di mantenere il profilo eccezionale della tradizione dell’opera lirica italiana. Il tutto in un momento di crisi della finanza pubblica e privata.
Sarà capace di fare da apripista anche su questo il Teatro alla Scala?

Giovanna Segre è Professoressa di Politica Economica all’Università Iuav di Venezia