C’è un dato rappresentativo della situazione di profondo degrado che attanaglia l’Italia e con essa le persone che qui vivono, studiano, lavorano. O meglio che qui vivevano, perché hanno deciso di trasferirsi altrove; studiavano, perché non hanno più voglia di spendere tempo e denaro per continuare gli studi se a contare non è quasi mai il merito; lavoravano, perché hanno vissuto sulla propria pelle gli effetti di una crisi economica che durerà ancora a lungo.

Un dato che è passato abbastanza inosservato in un momento in cui l’unico problema reale sembra essere l’assenza di un governo, al cui cospetto tutto il resto impallidisce e appare quasi folkloristico alla stregua di una bega tra comuni vicini ma storicamente nemici.
Per gli addetti ai lavori questo dato è l’ennesima conferma di un modus operandi che si è tradotto in un modus vivendi in cui cultura e istruzione continuano a essere degli orpelli decorativi, troppo costosi e difficili da gestire.

Perseverando nella sua convinzione l’Italia è riuscita a conquistare l’ultimo posto in classifica, vedendo finalmente riconosciuti i propri meriti per aver fatto – con tenacia e costanza – tutto quanto fosse in suo potere per rendere il settore culturale sempre meno attrattivo e produttivo.
I dati sulla spesa generale degli stati nel 2011 resi noti dall’ufficio statistico dell’Unione Europea parlano chiaro. Il nostro paese si classifica in ultima posizione per quanto concerne la spesa in cultura, dedicandovi solo 1,1% a fronte di una media del 2,2% dell’Ue a 27; mentre riesce a piazzarsi in penultima posizione (prima della Grecia) per quanto riguarda la spesa in istruzione, con una percentuale pari all’8,5% rispetto al 10,9% della media Ue a 27.

Anche se il Miur chiede una maggiore attenzione nella lettura dei dati, che a suo avviso offrono una visione distorta in quanto tali percentuali sono calcolate al lordo degli interessi che l’Italia paga sul debito pubblico, il nostro resta in ogni caso un triste primato.

Inducendo un progressivo abbassamento del livello culturale della comunità e favorendo la fuga di cervelli verso i paesi esteri, l’Italia rischia di accumulare nel lungo periodo un ulteriore ritardo di sviluppo nei confronti degli altri stati dell’Ue che sarà sempre più difficile colmare.

 

Vittoria Azzarita è caporedattrice di Tafter Journal