Le parole ascoltate a caldo in occasione della nomina dei Ministri del nuovo Governo nazionale, che, da parte leghista, annunciavano un’opposizione “ad personam” al Ministro per l’integrazione, di origine congolese, Cécile Kyenge, fanno parte di un repertorio già noto, ma non per questo meno inquietante e, soprattutto, fuorviante rispetto alle strategie più efficaci da intraprendere per rilanciare il paese.

Sul “noto repertorio” non si può che rimandare alla sinistramente illuminante “antologia” di esternazioni razziste e xenofobe dei leghisti nostrani recentemente pubblicata dall’altro neo onorevole del Parlamento italiano di origini africane Khalid Chaouki, dalla lettura della quale emerge con grande lucidità come il problema sia culturale, prima che politico.

Sulle strategie per rilanciare il paese può essere interessante evocare qualche dato.

Gli immigrati in Italia, nel 2011, secondo l’ISTAT, erano 4.029.145 e le stime della Fondazione Caritas Migrantes, ne contavano circa un milione in più, 5.011.000, (circa l’8,4% sui quasi 60 milioni di abitanti) rappresentando, secondo questa stessa fonte il 10% degli occupati, situandosi prevalentemente, per il momento, nelle fasce più basse del mercato del lavoro e producendo beni e servizi per un valore stimato pari all’11% del PIL, secondo un recente studio dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.

I risultati delle elezioni politiche e amministrative di quest’anno indicano che gli elettori che hanno votato per la Lega Nord sono stati 1.390.156 (per la Camera dei Deputati, dato numericamente superiore rispetto al Senato), pari al 2,3% della popolazione nazionale (e a circa il 4% dei voti espressi) e 700.907 per l’elezione del Governatore della Lombardia, pari al 7,2% degli abitanti della Regione (e a circa il 12% dei voti espressi).

Oltre al cattivo gusto di opporsi alla neo Ministro Kyenge per il colore della pelle e la sua origine africana, sotto il mero profilo numerico e strategico le cifre appena evocate fanno pensare ad una sparuta retroguardia che sferra un attacco suicida contro preponderanti forze nemiche, ma più che di forza e di conflitto è opportuno, a questo punto, ragionare sulla qualità delle relazioni, sugli strumenti di dialogo e di prospettive evolutive future.

Negare l’evidenza è il peggiore degli approcci possibili e rifiutare a priori l’eccezionale novità del primo Ministro italiano di origine congolese, e la sua fondamentale missione finalizzata all’integrazione (reciproca, ci si augura…), sembra fuori da qualsiasi percorso virtuoso e vincente per lo sviluppo del nostro paese.

Conoscenza, rispetto, comprensione, protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali sono alla base delle dichiarazioni costitutive dell’ONU e di quelle successive del 2001 (Diversità culturale – approvata a ridosso degli attentati alle Torri Gemelle) e della Convenzione del 2005 e sono valori e approcci che devono animare e orientare le scelte strategiche delle politiche italiane di tutti i settori nei prossimi anni, se vogliamo uscire dal guado in cui ci siamo impantanati.

È necessario, dunque, che il Ministro per l’integrazione sia presto accolto e ascoltato in tutte le sedi istituzionali, imprenditoriali, sindacali, religiose e civili possibili, per rappresentare esigenze, diritti/doveri e potenzialità dei nostri nuovi cittadini, per il futuro di tutti noi e del nostro paese, che, non scordiamolo, deve la sua fortuna e il suo ruolo nel mondo proprio all’essere stato un crocevia obbligato di popoli e culture, un laboratorio indiscusso di civiltà … e terra di origine di milioni di migranti sparsi in ogni angolo della terra.

 

Emilio Cabasino è ricercatore su temi di politica ed economia della cultura