Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
Partita IVA 03068171200 | Codice Fiscale/Numero iscrizione registro imprese di Roma 03068171200
CCIAA R.E.A. RM - 1367791 | Capitale sociale: €10.000 i.v.
L’estensione dell’orario di apertura dei musei è sempre piaciuta molto a chi si occupa di promozione della cultura, fa sentire democratici e innovativi. E’ la risposta istintiva all’esigenza di ampliare il bacino di utenza dell’offerta culturale, è un modo per abbassare la soglia d’accesso.
Ma l’orario è veramente un ostacolo?
Le pratiche di questi ultimi anni, non solo museali, sono state accolte dalla stampa e dagli operatori sempre con favore ed entusiastica benedizione. Sicuramente sono dei segnali di vivacità e un modo per richiamare l’attenzione del più vasto pubblico (se ben comunicate), soprattutto per l‘offerta meno “glamour”, come quella museale.
Se fatto con insistenza però è una pratica sterile.
Accrescere la domanda di cultura non passa per delle eccezioni, ma per l’educazione continua al piacere del bello, dell’identitario e del condiviso. Aperture straordinarie – così come gli eventi – servono a fare rumore, ad attirare l’attenzione, e sicuramente nel caos mediatico moderno servono. Ma non ci si può fermare a questo. Tali azioni dovrebbero essere dei teaser per avviare dei percorsi di avvicinamento a nuovi pubblici più strutturati.
Gli altri paesi evoluti ci insegnano che il lungo orario, anche notturno e festivo, ad esempio delle biblioteche, è il modo primario per farle percepire come un luogo di tutti, di approfondimento, di ritrovo (almeno con se stessi) e forse anche di riparo (culturale).
Le aperture straordinarie italiane mi sembrano invece solo dichiarazione d’intenti. Incuriosisce, attrae l’attenzione, ma questa occasionalmente si traduce in interesse, desiderio e azione. Il fenomeno del serendipity (la conoscenza casuale, NdA) non funziona per ridondanza. Non da ultimo, in una mia recente pubblicazione, argomento come tali azioni siano innanzitutto un costo (di personale ad esempio), e non per forza anche un aumento di ricavi sostenibili e funzionali ai benefici generali dell’istituzione culturale.
Fabio Severino, vicedirettore del Master in Digital Heritage Università La Sapienza
Foto di Thomas Truth