Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Più la sociologia della complessità ci riflette e più esce dallo schema che dà colpe e responsabilità sempre a altri, ai cinesi, alle banche, a Equitalia. È saggio evitare semplificazioni masochiste in stile “la crisi è una opportunità” e applicare schemi differenti da quelli del qualunquismo da Bar Sport o dal semplicismo delle inchieste di molti media. Dall’esame dell’aura di molti soggetti si rileva un’umidità corneale che segnale una crescente voglia di assumersi le proprie responsabilità, unita però a demotivazione profonda legata alla solitudine.
In tanti vorrebbero, ad esempio, fare la raccolta differenziata, usare la bicicletta, scambiare il proprio tempo, privilegiare i negozi di quartiere, partecipare alla vita sociale e culturale, interagire in modo differente, intelligente e costruttivo con i turisti e con gli immigrati o i fuorisede. Ma in pochi lo fanno. Con sguardi da emoticons spompati dicono di non saperlo fare, che si sentono soli, non si sentono sicuri. Lo farebbero, affermano, se ciascuno facesse la propria parte.
Si percepisce questo desiderio, intimo e represso, unito alla voglia di non sentirsi soli in un’opera di ricostruzione della socialità da moltissimi ritenuta necessaria e all’intuizione che per riuscirci sia necessario collaborare.
Già, perché esiste una intelligenza collettiva che contiene le risposte al disagio e a molti degli effetti della crisi. Risposte e soluzioni però che sono frammentate nelle esperienze e nei contributi dei singoli.
Nella modernità liquida in cui non c’è la certezza del tempo indeterminato nelle relazioni, come nei lavori, e neppure nei mobili o nelle idee, un ruolo nuovo richiesto alla politica diventa quello di facilitare i processi di collaborazione tra persone (e tra istituzioni, e tra imprese, …).
Fare politica, lavorare per la polis, diventa immaginare luoghi che siano per vocazione destinati a creare socialità, che crea soluzioni, cultura, economia. Si rileva un doppio bisogno: di luoghi fisici, spazi pubblici dove non si sia più “destinatari di servizi” o “utenti” ma co-progettisti e protagonisti di scambi di idee, talenti, tempo; di spazi virtuali, e dunque piattaforme web dove condividere e/o scambiare tempo, talento, libri, auto, spazi verdi, parcheggi, attrezzature, ricette, consigli medici, libri, camere sfitte, energia pulita, ….
Tutto per mettere a contatto persone che si scoprono affini, magari anche grazie ai facilitatori che includano i più deboli, che spingano al dialogo tra generazioni e tra generi, che sorveglino il rispetto della legalità e dei valori democratici e della libertà di espressione. Un dialogo anche mirato a comprendere i problemi, raccogliere segnalazioni, sviluppare soluzioni, indicare percorsi a chi amministra.
Credo che siamo chiamati a un grosso salto di qualità nelle modalità del vivere collettivo con l’individuazione di nuovi modelli di relazione che funzionino in tessuti urbani complessi e aree extraurbane in cerca di identità.
Sono scelte che nel mondo, quello che va a velocità ben più rapide della nostra si rilevano da tempo. Molte soluzioni sono lì, e le vede chi viaggia, chi fa l’Erasmus, o anche solo passa un weekend a Parigi, Londra o Vienna, luoghi che cambiano perché cambiano i comportamenti dei cittadini. Turbatevi, vi prego, davanti alla scelta di Shangai, definitasi Sharing City individuando 20 ambiti nei quali la collaborazione tra cittadini ridefinisca l’economia. Un approccio che fa sembrare il concetto di Smart City già obsoleto e utile solo a riempire qualche convegno finanziato con soldi pubblici.
Siamo in Italia, nel 2013, e non possiamo illuderci che il senso civico, il rispetto delle regole, o l’amore per il prossimo muovano le masse verso il riconoscimento e la tutela del bene comune o – meglio ancora – nella messa in comune. Ma questo nuovo coinvolgimento si può generare educandoci. Magari non più con le trite campagne di informazione e sensibilizzazione ma con un approccio vicino all’experience design e gamification .
Se pare surreale far provare alle persone l’ebrezza di “quanto sia emozionante e fare qualcosa di utile” ma diventa un passaggio necessario a riscoprire valori a cui vent’anni di autoassoluzioni ci hanno reso alieni.
Immagino incentivi creativi alla partecipazione collettiva. Ad esempio ingressi Premium gratuiti musei o eventi, campagne di fidelizzazione, omaggi da sponsor, endorsement di Totti o Banfi, a beneficio di chi partecipa, suggerisce soluzioni, segnala inefficienze, presta il suo tempo, partecipa, si iscrive, ragiona, scambia, per il bene della Società. E così accumula i punti nel grande gioco della Società per Buone Azioni.
Samuel Saltafossi è sociologo della complessità