Un recente pronunciamento del Tribunale di Prima Istanza della UE (1), precisa e conferma alcuni principi relativi ai rapporti tra un MARCHIO EUROPEO depositato, e il nome di un SITO WEB.
Nel 2007 un noto esponente politico italiano effettuava istanza di deposito di un marchio relativo a un possibile nuovo soggetto politico (2).
Alla registrazione del marchio si opponeva, nei primi mesi del 2008 il titolare del sito omonimo rispetto al naming del marchio, a suo dire attivo già dall’anno 2004 (3).
Le norme sulle attribuzioni dei nomi di dominio prevedono infatti il principio “first come, first served” (traducibile con il “chi primo arriva, alloggia”). Inoltre il nome a dominio conferisce al registrante un diritto di “preuso” simile, negli effetti, a quello dei marchi di fatto.
La registrazione di un marchio simile o estremamente confondibile con un nome a dominio già utilizzato appariva quindi come una violazione di tali diritti.

Nella istruttoria svoltasi a cura della Commissione Reclami dell’ UAMI – Ufficio Armonizzazione mercato interno – che è l’agenzia dell’Unione europea competente per la registrazione di marchi, disegni e modelli validi in tutti i 27 paesi della UE (4) – in merito alla opposizione alla registrazione del suddetto marchio, decideva di applicare al caso i “normali” criteri commerciali: dimostrazione pratica di attività commerciale svolta nel periodo 2004 – 2008: fatturato di beni o servizio prodotti e scambiati tramite il sito web, rinomanza dello stesso, rapporti con clienti o consumatori.

Ebbene: nulla di tutto questo. Anzitutto il sito afferiva a un gruppo politico. Nessun “merchandising” di prodotti era realizzato, né fatturato o fund-raising raccolto per il gruppo stesso. Inoltre il sito era in concreto privo di contenuti, perché automaticamente reindirizzato a quello “principale” del movimento politico (5).
Ritenendo che il sito internet non rispondesse a tali requisiti dal momento che non svolgeva una effettiva attività di carattere commerciale né alcuna attività fatturabile, UAMI respingeva la opposizione presentata.

Respinta l’opposizione, il movimento politico referente del sito, adiva il Tribunale della Unione Europea, deducendo falsa applicazione dei principi posti alla attribuzione dei nomi a dominio da parte della “Italian Naming Authority NIC” presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, ma il Tribunale confermava il rigetto delle opposizioni già emanato dalla Commissione Reclami UAMI.
Il non aver mai effettuato “attività commerciale” è stato determinante per la decisione del Tribunale Europeo e del resto, è principio analogo a quello esistente nei marchi: la decadenza per non uso (decorsi 5 anni dal deposito), e (nel caso di mancata attuazione) dei brevetti: non uso e e non attuazione, insomma, inficiano tutto il settore delle “privative titolate”.

I marchi, con la procedura di deposito, attribuiscono al titolare un “monopolio legale” nel o nei settori merceologici scelti e richiedono il presupposto della effettività, diciamo la “reificazione della tutela” per i fini effettivamente conseguiti, pena la sua decadenza.

Ma il caso in questione traspone questi principi al settore dei nomi di dominio. E, in fondo, pone in dubbio alcuni argomenti, in conflitto di norme con il nostro “codice della proprietà industriale” di recente emanazione (2005) che all’articolo 22 stabilisce il principio di unitarietà dei segni distintivi (6), che, il Tribunale UE sembra superare, difendendo così il ruolo e la funzione delle istituzioni comunitarie come anche quello delle istituzioni nazionali quali l’UIBM – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi.
Certo sono enti cui si accede liberamente, ma la tutela offerta dalle procedure di deposito impone di sottostare … a una condizione pregiudiziale: il pagamento delle varie centinaia di euro che, per ogni singolo deposito, è prevista dalla tariffa (7).

Emerge così, ancora una volta, la natura intrinsecamente “commerciale” della costruzione europea, a lungo chiamata in Francia, Belgio e Lussemburgo semplicemente “ le marché commun”, natura che – anche in tema di registrazione di marchi – si dimostra poco acconcia a risolvere problematiche di titolarità quando entrano in gioco i “I PRINCIPI” e non un fatto economico effettivo, documentabile, misurabile.

Chissà, viene da chiedersi, se il “Movimento 5 Stelle” avrebbe avuto ragione nei confronti di un identico marchio concorrente, posto che, stando a voci di cronaca (8), la natura commerciale del sito web, accreditatasi grazie ai proventi pubblicitari milionari, integra certamente il cosiddetto fine commerciale di profitto. Questo, nel quadro normativo comunitario, avrebbe certamente fatto presa, vista la “mercatoria” visione molto commerciale del Tribunale UE in tema di marchi e siti web, che emerge da questa decisione.

 

Note:

1. Sentenza 1a/05/2013 Tribunale Unione Europea nei ricorsi riuniti T 321 e 322/11.
2. “Partito della Libertà” richiesto da M.V. Brambilla quale rappresentante della Associazione Nazionale Circolo della Libertà, che agiva per mandato di Silvio Berlusconi.
3. Signor Raffello Morelli – sito: “liberali.it” e “partitodellaliberta.it” associazione politica federazione dei liberali, presentavano opposizione il 10/10/2008.
4. I provvedimenti della Divisione Opposizioni (avverso il marchio denominativo, indi avverso il marchio figurativo) sono datati 10/5/2010; questo veniva impugnato da Morelli avanti della Commissione di Ricorso il 14/7/2010 che decideva negativamente il 17/3/2011.
5. “liberali.it”
6. L’art. 22 delCodice della Proprietà Industriale stabilisce che : “E’ vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell’attività economica o altro segno distintivo (1) un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”.
7. Le tariffe per il deposito di marchio sono consultabili on line al sito UAMI 
8. Il sole 24 Ore ipotizza per ben 5 milioni € annui i ricavi lordi del sito web “beppegrillo.it”

 

 

 Paolo Bergmann è avvocato esperto in diritto d’autore