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La protesta di Piazza Taksim ha avuto inizio il 31 maggio scorso, quando la polizia ha sgomberato con la forza il sit-in che da alcuni giorni era stato organizzato in difesa del Gezi Park, nel cuore di Istanbul, contro la decisione governativa di raderlo al suolo per costruirci un centro commerciale.
Le manifestazioni dei giorni successivi a sostegno delle vittime delle violenze in tutte le principali città turche sono, in realtà, espressione del risentimento a lungo soffocato dalla popolazione contro il rafforzamento del potere governativo e, in special modo, del Primo Ministro Erdogan. Tale rafforzamento è stato considerato da molti come una minaccia alla libertà e alla laicità dello stato turco, come confermato da una serie di misure restrittive adottate a livello governativo negli ultimi mesi (limitazione della vendita di alcolici, divieto di baciarsi in pubblico, restrizione della libertà di stampa nonché marginalizzazione di scrittori ed artisti per le loro idee considerate oltraggiose verso la nazione e i valori religiosi dominanti). Gli stessi scontri che da giorni ormai si ripetono ad Istanbul ed Ankara hanno trovato poco eco all’interno dei confini turchi, proprio per il rigido controllo esercitato sui mezzi di comunicazione dal potere centrale.
Tra l’altro, la decisione di eliminare il Gezi Park si inserisce all’interno di una serie di progetti che stanno incidendo profondamente sul tessuto urbano della città e che stanno portando all’eliminazione di alcuni quartieri tradizionali (valga ad esempio, la demolizione del cinema più antico della città per costruire un centro commerciale e la programmata demolizione di una chiesa dell’ottocento per ridisegnare il porto della città).
Queste decisioni, prese a livello governativo, hanno provocato un diffuso malessere tra la popolazione, acuito dalle numerose violazioni dei diritti umani e dall’uso eccessivo della forza commessi contro i manifestanti dalla polizia nel corso delle recenti proteste. L’uso sproporzionato della forza e le violenze, che hanno causato alcune vittime e migliaia di feriti, hanno suscitato l’indignazione delle principali istituzioni internazionali sui diritti umani, governative e non. Tali episodi evidenziano come in Turchia, gli iniziali progressi compiuti verso la costituzione di uno stato democratico e di diritto, per l’ingresso nell’Unione Europea, stanno poco a poco lasciando spazio ad un potere forte e centralizzato.
A livello europeo, il Commissario per l’allargamento, Stefan Fuele, pur criticando le violenze delle forze di polizia e sottolineando come, in una società democratica, le manifestazioni pacifiche rappresentino un mezzo di espressione legittimo, si è affrettato ad affermare che il processo di adesione della Turchia all’UE non si interrompe. La speranza è che non prevalgano solo interessi economici e politici, ma che l’eventuale adesione sia valutata anche alla luce di quanto accade in questi giorni ad Istanbul. Si ricordi, infatti, che ogni stato candidato si impegna ad assicurare, tra l’altro, la stabilità delle istituzioni al fine di garantire la democrazia, lo stato di diritto, la tutela dei diritti dell’uomo e il rispetto e tutela delle minoranze.
Andrea Crescenzi è tecnologo presso l’Istituto di Studi Giuridici Internazionali del CNR