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Il neoeletto sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha deciso di chiudere al traffico delle auto private via dei Fori Imperiali, dal Colosseo a Piazza Venezia. Con concretezza, l’operazione si sta realizzando in tempi brevi e sembra avere le caratteristiche per proporsi come biglietto da visita della nuova giunta. Intorno a questa scelta stanno crescendo aspettative che tendono a farla diventare un punto di riferimento di riflessioni, proposte e interrogativi di chi ha cuore il rapporto con la cultura nel nostro paese.
E’ realistico pensare che questa attenzione vada attribuita a una felice coincidenza che pone il provvedimento del sindaco Marino nel punto di snodo di diverse problematiche che riguardano la vita nelle nostre città.
La chiusura infatti nasce dalla preoccupazione per la tutela del Colosseo e dell’area circostante messe a dura prova dal traffico, dallo smog e dai lavori della Metro C. A questo vanno aggiunte le proteste di cittadini e operatori per il rischio di degrado di un’area che sembra essere stata abbandonata al turismo di massa tra venditori di paccottiglia, giganteschi torpedoni e pochi servizi. Nei quartieri limitrofi a via dei Fori Imperiali non sono pochi gli abitanti che preferiscono usare le proprie case per i bed and breakfast piuttosto che abitarci. E il problema riguarda da tempo tutto il centro storico romano abitato solo da una esigua minoranza di cittadini.
Ecco allora che sulla questione della chiusura di via dei Fori Imperiali confluiscono le attenzioni di diverse sensibilità: la necessità di un ambiente non inquinato; la speranza di liberare Roma dal traffico delle auto in favore di un migliorato trasporto pubblico; la possibilità di avviare politiche di turismo sostenibile in contrasto con il turismo di massa, “mordi e fuggi” che molto toglie alla città senza restituirle nulla; e finalmente il recupero della centralità della cultura.
Il quadro generale per avviare questo lungo e virtuoso cammino è fornito dalla necessità di ricostruire quella “città pubblica” il cui tramonto è descritto con cura e attenzione nel recente libro di Francesco Erbani. Un campo semantico che vede al suo centro la cultura restituita ai cittadini perché elemento di costruzione del senso civico e della dimensione sociale, fattore di inclusione e cittadinanza, formidabile motore di democrazia e partecipazione.
Se questo venisse realizzato verrebbero sciolti i dubbi intorno al ruolo di Della Valle per il restauro del Colosseo. Capiremmo meglio quale indirizzo dare alle politiche culturali e come migliorare il problema del rapporto tra centro e periferia.
Infine, potremmo riflettere più serenamente sulla scelta di affidare alle sorelle Fendi e al magnate francese del lusso Bernard Arnault l’uso del Palazzo della Civiltà del Lavoro all’Eur. E liberarci della gabbia strettissima dell’ideologia dominante che vede nell’affido ai privati l’unica strada per risolvere il problema dei beni culturali nel nostro paese. Riusciremmo così a intravvedere soluzioni più civili e responsabili per la gestione del nostro patrimonio.
In questo quadro, due iniziative apparentemente di valore secondario, potrebbero far sperare in una diversa concezione delle politiche pubbliche: la somministrazione ai cittadini di un questionario e l’invito a partecipare alla festa di inaugurazione. Sono solo un’operazione di marketing? Prevedono autentica partecipazione? E in che modo?
La festa sarebbe interessante se rappresentasse il primo passo di una restituzione del patrimonio culturale ai cittadini. Il questionario è benvenuto se fosse l’inizio di una pratica di partecipazione.
Fruizione e produzione culturale hanno bisogno di modalità precise per essere attivate. E queste modalità riguardano la sostenibilità della vita nei nostri quartieri, al centro come in periferia, per i residenti come per i turisti.
Le isole pedonali non bastano: possono anzi diventare un boomerang. Una brutta ferita come quella che vede il centro di Roma, da Fontana di Trevi al Pantheon, attraversato da masse di turisti ignari della città che percorrono un solco che ha mutato profondamente la fisionomia di quelle strade oggi occupate solamente da negozi di souvenir, pizzerie a taglio, bar e ristoranti. Si deve fare meglio, molto meglio. E di più.
Gioacchino De Chirico è un giornalista culturale ed esperto di comunicazione