Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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E’ la “Lettera di un musicista al Ministro alla cultura”, ma pone sul tavolo tante questioni di economia e gestione, più che rivolgere molti interrogativi o rimostranze in ambito artistico.
Una lettera che spontaneamente mette in luce il doppio valore della cultura: un motore della crescita economica, dei redditi e dell’occupazione, e un fattore di miglioramento della qualità sociale. L’obiettivo di uno Stato (e di un Ministro) moderno dovrebbe essere quello di occuparsi della produzione di nuova cultura, e quindi di sostenere le industrie culturali e creative.
Queste, pur contenendo in sé quel “bene prezioso” (con le parole della lettera) che è la cultura, per molti altri aspetti non sono dissimili dalla molteplicità delle organizzazioni economiche che formano il tessuto economico tradizionale su cui si basa lo sviluppo economico.
Ci sono imprese grandi, medie, piccole e piccolissime, for profit e non profit, ci sono liberi professionisti, artigiani, manager o imprenditori, anche nell’ambito culturale. E loro, come tutti, hanno a che fare con tasse e imposte, contributi previdenziali, premessi licenze e concessioni. Qui ora però si sta parlando di un ambito non profit in cui operano imprese piccole o piccolissime o singoli, dove chi fa cultura lo fa in forma non organizzata, rispondendo semplicemente all’esigenza di diffonderla capillarmente tra la gente, secondo formule saltuarie e mutevoli (un concerto o una mostra in un locale privato, un bar, un club, una casa).
Questo è nella sostanza un servizio pubblico che risponde all’universale riconoscimento della cultura come un bene meritorio, ma che sono in grado di fare al meglio i privati, ed è quindi sensato aspettarsi un appoggio ad essi da parte del settore pubblico. Ma di che tipo? Qui viene il difficile. In termini economici, dal lato delle imposte, ci son due piani: far pagare meno imposte a chi fruisce del consumo di beni e attività culturali; far pagare meno imposte a chi guadagna del reddito producendo beni e attività culturali. Serve introdurre misure per entrambi? Sono gli ammontari che ostacolano il funzionamento o è la burocrazia che li circonda? Dal lato dei contributi previdenziali, c’è il problema, tipico in qualunque mercato del lavoro, dell’imprevidenza in età adulta nei confronti della propria età anziana. Come trattarlo nel caso degli artisti?
Sicuramente, per iniziare una seria discussione sulle misure da introdurre per fare della cultura una leva di un nuovo modello di sviluppo economico e sociale, sarebbe utile semplificare il modo in cui le imposte e i contributi si debbano versare quando sono relativi a redditi guadagnati da artisti in circostanze occasionali, comprendendo i diritti Siae in un unico atto da compiere, magari on line attraverso qualche software che funzioni sul telefonino, che sicuramente qualche gruppo di giovani start-upper sarebbe in grado di progettare.
Giovanna Segre è Professoressa di Politica Economica all’Università Iuav di Venezia