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Il copione che ha rappresentato le vicende del Teatro Valle a Roma in questi ultimi due anni aveva tutte le caratteristiche per risultare banale, noioso e ripetitivo. E invece ha riservato una bella sorpresa.
Poteva essere solo il tristemente consueto racconto di un’amministrazione pubblica che non sa come comportarsi nel gestire uno dei teatri storici più belli, più antichi e importanti d’Italia. Poteva essere la storia di una protesta che, come in tanti altri luoghi della capitale e nel resto del paese, veniva abbandonata al proprio destino a far da testimonianza in una città distratta. Poteva essere “solo” l’ennesimo danno delle scelte politiche di un certo centro-destra che, nel nostro paese, vede la cultura esclusivamente come un costo (da tagliare) e mai come un investimento da programmare.
E invece non è andata così. Almeno non del tutto. Effettivamente la giunta Alemanno ha fatto di tutto per non affrontare seriamente la questione. Ma non gliene si può fare un torto. Per loro si trattava di ordine pubblico e non di politiche culturali. Nel frattempo però dall’Europa e dal mondo si sono moltiplicati gli attestati di solidarietà con gli occupanti. Grandi attori e grandi compagnie italiane e straniere hanno tenuto spettacoli e stage nel teatro che ha ospitato anche convegni, feste, proiezioni e seminari. Migliaia di euro ogni mese sono stati sottoscritti dai cittadini per sostenere questo sforzo. Centinaia di migliaia le persone che hanno partecipato agli eventi e assistito agli spettacoli. Migliaia gli attori coinvolti in una programmazione, spesso improvvisata, ma che ha segnato significativi e frequenti momenti di valore sia dal punto di vista delle novità che della qualità artistica. Ed è stato questo che ha risvegliato i cittadini dall’indifferenza. Non solo protesta ma soprattutto proposta. Non solo cultura “alta”, che a molti incute ancora qualche (sacrosanto) timore reverenziale, ma anche cultura popolare.
Naturalmente il teatro Valle è stato anche in parte il refugium peccattorum di chi, non riuscendo a prendere atto dei propri limiti, se la prendeva con i limiti degli altri. Ma questo è il (piccolo) prezzo da pagare quando si decide di aprirsi all’esterno non dovendo e non volendo selezionare. Insomma, l’occupazione del Teatro Valle è stato il periodo sabbatico dello spettacolo dal vivo: si sono rimescolate le carte e dalla protesta si è tentato di indicare una via d’uscita, in forma libera e autonoma. Tutto questo a due passi dal Pantheon e da piazza Navona, in un centro storico sempre più “gentrificato”, devoluto al turismo di massa nonostante sia di facile accesso anche per i cittadini romani.
Non era affatto scontato che succedesse: il teatro Valle rappresenta un’esperienza unica e preziosa che non può andare dispersa. Per questo va salutata positivamente la nascita della Fondazione Teatro Valle Bene Comune. Una “nuova istituzione culturale”, come l’hanno definita i promotori, che è riuscita a garantirsi l’adesione di circa 5,000 soci e l’acquisizione di opere d’arte donate dagli artisti per raggiungere la quota di capitale sociale. Finalmente quell’esperienza esce dal cono d’ombra in cui non si poteva distinguere nettamente tra legalità delle norme e atti di forza, per quanto giusti e forse addirittura doverosi. Finalmente possono rasserenarsi gli sguardi corrucciati di chi vedeva il Valle riscuotere successo mentre loro stessi versavano in mille difficoltà per organizzare spettacoli dal vivo dovendosi sobbarcare utenze, costi di gestione, pagamento dei tributi, ecc.
E’ terminata una fase, il primo atto si è compiuto. I protagonisti ora sono inseriti in un nuovo contesto, quella della Giunta Marino, che si è dichiarata disposta al confronto e alla collaborazione, specialmente negli impegni presi formalmente dall’assessore Barca. Sarà efficace la formula della fondazione che molti ritengono essere troppo onerosa? Riusciranno i protagonisti a rendere il Teatro uno spazio veramente aperto, partecipato, attento alla formazione e alle produzioni contemporanee? Oppure si adageranno in una condizione consolatoria e autoreferenziale per l’utile effimero di pochi lontano dal Bene Comune che ha costituito l’obiettivo di una protesta e, per due anni, la pratica della proposta?
Ora non è dato sapere. Certamente le possibilità innovative e le prospettive virtuose non mancano, anche se i dubbi che ancora accompagnano questa esperienza non sono stati del tutto diradati.
Lasciamo fiduciosi che il sipario si alzi di nuovo per il secondo atto.
Gioacchino De Chirico è un giornalista culturale ed esperto di comunicazione