Nazi Art DatabaseE’ recente la notizia del ritrovamento a Monaco di Baviera circa 1.500 opere dei maestri della pittura moderna (Pablo Picasso, Henri Matisse e Marc Chagall) confiscate durante il Nazismo a collezionisti ebrei, per un valore pari a un milione di euro.
Ci troviamo al centro di un dibattito internazionale che interessa la restituzione alle famiglie ebree del loro patrimonio artistico (ora beni culturali) sottratto durante la seconda Guerra Mondiale dai Nazisti.

Ma quali norme si applicano a simili casi e, soprattutto, chi è in possesso di tali beni è tenuto a restituirli al legittimo proprietario?
La risposta non è di immediata soluzione, posto che si tratta di indagare sull’applicazione di norme internazionali e sulla loro attuazione sul piano nazionale all’interno dell’ordinamento interessato (nel nostro caso tedesco).

Sul piano internazionale, come noto, esistono due Convenzioni (Unesco 1970 e Unidroit 1995), entrambe di fatto inapplicabili a casi simili a quello qui in esame.

La Convenzione Unesco sulla illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali (1970) rappresenta un utile strumento per combattere il traffico illecito dei beni culturali con applicazione sia in tempo di pace che in tempo di guerra. Sebbene prevenga la distruzione e la sottrazione di beni culturali, non è specificamente atta a regolare la sottrazione di opere d’arte da parte dei Nazisti nel corso della Seconda Guerra Mondiale, né contiene meccanismi per la composizione di controversie di questo genere. La Convenzione semplicemente stabilisce che lo Stato al quale l’opera è restituita compensi l’acquirente in buona fede senza prevedere regole per le controversie tra privati.

La Convenzione Unidroit (1995) sulla protezione del patrimonio culturale e la lotta al traffico illecito di opere d’arte tende a supplire le lacune della Convenzione Unesco del 1970, in particolar modo, con riguardo al diritto internazionale privato e alla problematica dell’acquisto a non domino affrontata in modo differente dagli Stati contraenti. Legittimato all’azione di restituzione può essere anche un privato: chi detiene un bene che è stato rubato deve restituirlo, essendo irrilevanti i vari passaggi di proprietà a seguito dell’illecita perdita del possesso del bene. Anche se il proprietario (originario o successivo) ha acquistato in buona fede (ovvero con la dovuta diligenza), non impedisce la restituzione del bene, attribuendo al detentore unicamente il diritto ad un equo indennizzo, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso.

Le norme della Convezione Unidroit potrebbero quindi rappresentare la base per intraprendere azioni di restituzione relativamente al patrimonio sottratto dai Nazisti agli Ebrei durante il periodo bellico, ma la limitazione dei cinquant’anni da quando è avvenuta la sottrazione, imposta dalla Convenzione, per la proposizione dell’azione di restituzione, rende impossibile rivendicare beni sottratti più di 66 anni fa o comunque prima del 1963!
Allo stato quindi né la Convenzione Unesco, né la Convenzione Unidroit possono essere di ausilio alla soluzione del caso qui esaminato. Sono così stati introdotti numerosi strumenti di “soft law” che forniscono linee guida per risolvere le controversie legate alla “Nazi-era art”. Ma anche qui ci troviamo in una zona grigia, cosicché le controversie sui beni sottratti dai Nazisti sono per lo più risolte dai giudici nazionali, di volta in volta, sulla base del caso concreto e conformemente al diritto nazionale applicabile.

Una recente sentenza della Corte di Giustizia Federale Tedesca (Bundesgerichtshof) conferma che le norme generali del diritto civile prevalgono sulla legge che regola le restituzioni in Germania. In Germania, infatti, i sequestri attuati sui beni appartenenti agli Ebrei da parte dei Nazisti sono da considerarsi privi di alcun effetto e pertanto nulli a decorrere dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Al di là dei confini della legge applicabile, la restituzione include sforzi per superare gli ostacoli legali. Le difese possono fondarsi sul background storico e su speciali circostanze del caso concreto, così come condurre ad avvalersi di strumenti di “soft law” che hanno dato vita a speciali commissioni dedicate o alla adozione di sistemi di risoluzione delle controversie alternativi alla giustizia ordinaria (ADR) o ancora alla restituzione volontaria dei beni.

In Germania, nel 2003, il Governo ha costituito una Commissione Consultativa per la Restituzione dei Beni Culturali Sequestrati durante la Persecuzione Nazista, in particolare, di proprietà di famiglie ebree, per rendere efficaci i Principi della Conferenza di Washington del 1998: la mediazione obbligatoria è imposta dopo che le parti abbiano esperito ogni rimedio di legge o se le limitazioni di legge abbiano impedito la restituzione.

Ancora, la normativa sulla restituzione del 1990 (Vermogensgesetz) incoraggia le parti, privato e Stato, ad addivenire a transazioni su base amichevole. Ma ci si pone la domanda, una volta risolte tutte le questioni di legge applicabile, se l’erede sia tenuto alla restituzione e a pagare per il predecessore? La soluzione parrebbe propendere per il sì, ove il predecessore conosceva la provenienza illecita e l’erede non poteva non sapere di quella provenienza, usando la “dovuta diligenza”, secondo un principio di buona fede nell’acquisto anche a titolo successorio.
E a chi passa, una volta accertata l’illecita provenienza, la proprietà dei beni recuperati? Al legittimo proprietario, verrebbe da dire, sempre che sia stato risolto il caso sulla base del diritto nazionale applicabile che, come visto, oltre a riguardare regole di diritto interno (nel caso in esame di diritto tedesco), non appare sempre di facile soluzione.

 

 

Silvia Stabile è avvocato esperta in Diritto della Proprietà Intellettuale e Diritto dell’Arte, partner dello Studio Legale Negri-Clementi