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Non so se avete presente quel videogioco, Sim City, invenzione di Will Wright e ora fiore all’occhiello della casa produttrice Maxis. Mettersi dalla parte del giocatore-sindaco, vero e proprio demiurgo che tutto decide e legifera, è un po’ come entrare nell’ottica di una pianificazione urbana. In particolare, quello che colpisce è una particolare opzione, la possibilità nel gioco di conferire con i consiglieri, ripartiti ”“ come in ogni simulazione che si rispetti ”“ in aree specifiche: il piano strategico urbano, le questioni sanitarie, il dipartimento di pubblica sicurezza, il settore ambientale. Nella dimensione democratica e demagogica del gioco, in cui ogni rapporto si deve ridurre a un dialogo o, meglio, ad un dualismo, i consiglieri diventano l’interfaccia del parere e degli umori dei cittadini. Il sindaco-demiurgo (c’è persino una modalità DIO!) deve ridurre il calcolo strategico ad assecondare e soddisfare l’opinione comune. Insomma, in questo gioco, l’utente diventa sindaco e per un po’ e, come nell’ottica della cittadinanza attiva espressa dalle più attuali politiche istituzionali, si occupa realmente dei problemi della comunità .
Il riferimento al gioco intende, in questo senso, stimolare una serie di riflessioni: una è legata all’apprendimento che, tramite la simulazione, diventa presa di possesso di un ruolo di responsabilità , un’altra alla conoscenza di un contesto complesso, un piano ordinato per livelli, ognuno dei quali porta con sé la pianificazione di necessità di tempo e di attività .
Riportando l’esperienza del gioco alla realtà di tutti i giorni, è facile notare che, sempre più spesso (proprio come Sim City), si è chiamati a collaborare per decidere obiettivi e modalità del funzionamento di strutture e servizi pubblici su questioni come la cultura, la sanità , la viabilità , l’inquinamento, il commercio. Sempre più spesso si inventano forum cittadini, arene di discussione in cui l’opinione che parte dal basso diventa utile strumento per organizzare l’azione sulle necessità delle metropoli.
Al VII Congresso delle Città Educative che si è tenuto a novembre a Genova, ad esempio, la città viene descritta come un progetto collettivo. Non più, quindi, come sola piazza d’affari per questioni di ordine politico, ma come incontro di culture diverse, come attraversamento di identità legate a quartieri, a spicchi, porzioni di città ognuna con un suo carattere.
Di questa sorta di educazione a vedere la città da una prospettiva diversa fa parte un nuovo modo di porre il cittadino al centro del dibattito sui temi sostanziali dello sviluppo sostenibile. In una parola: se è vero che c’è bisogno di studiare nuovi codici per comunicare diritti, possibilità , idee, se è vero che è necessario aiutare gli altri a crearsi dei filtri adeguati per capire l’importanza delle informazioni su come migliorare lo stato di salute delle nostre città , allora bisognerà pensare a stimolare il sorgere di spazi in cui ciò possa accadere, di eventi e manifestazioni in cui questi obiettivi possano essere trasmessi e l’opportunità di partecipazione non sfumi in un concetto astratto.
C’è bisogno, cioè, proprio come in Sim City, di dare spazio all’operatività , ad azioni dirette e orchestrate dai cittadini i cui obiettivi siano far spuntare un museo e inventare una biblioteca, fondare un centro residenziale e pianificare una rete stradale.
Certo, nel caso di una realtà simulata il giocatore-sindaco è l’unico responsabile e non rischia molto sulla carta, ma il gioco lascia perplessi: è molto facile passare, per via della forza delle azioni, che causano effetti specifici, da una corretta pianificazione alla creazione di problemi, disagi, inconvenienti. Un modo, cioè, di rimanere sospesi tra necessità e opportunità, tra necessità e ragione.