Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Nel 1993 una stima quantificava nel 15% la produzione di cibo derivata da coltivazioni situate in contesti urbani e una ricerca recente prevede il raggiungimento della soglia del 33% per la fine del 2005. E questo dato, già di per sé piuttosto significativo, diventa ancora più rilevante se si ricorda che le città rappresentano appena il 2% della superficie terrestre, pur consumando oltre ¾ delle risorse totali. Qualcuno le ha definite dei “buchi neri”, che ingoiano sempre più rapidamente le ricchezze del pianeta.
Naturalmente, sotto al termine-ombrello city farms, trovano posto realtà molto diverse tra loro: dai semplici giardini comuni coltivati collettivamente dagli abitanti di singoli quartieri, a strutture più complesse, simili a vere e proprie aziende agricole in miniatura, fino alle cosiddette fattorie didattiche, pensate perlopiù come spazi educativi per bambini e giovani nati e cresciuti tra i palazzi e il cemento delle città . Tutte queste iniziative, differenti, si diceva, pernatura e obiettivi, sono tuttavia accomunate da principi comuni: il riavvicinamento delle persone alla natura, agli animali e ai suoi prodotti; la ricerca di nuovi modelli di sviluppo sostenibile; l’espansione di aree verdi all’interno del territorio metropolitano; nei Paesi più poveri anche la lotta all’indigenza e la sfida per l’autosostentamento.
Una delle fattorie urbane più antiche, citata da alcuni come la prima in assoluto, è quella di Kentish Town, a Londra, fondata nel 1972. Lo spazio comprendeva un terreno coltivabile e molti animali da fattoria. L’esempio fu seguito a breve da molte altre fattorie (basti pensare a Spitalfields, situata a meno di un miglio dalla quartiere finanziario della City) e solo a Londra oggi si contano oltre 65 centri di produzione agricola, tra fattorie vere e proprie e i più piccoli community gardens. Questi ultimi, normalmente ricavati dal recupero di zone dismesse delle grandi città , sono particolarmente diffusi nella Grande Mela, dove ne esistono a decine, sparsi in tutti e cinque i boroughs. Il progetto Green Guerillas, ad esempio, da oltre trent’anni aiuta i cittadini a trasformare spazi abbandonati e malsani in orti produttivi e ricreativi per il quartiere. Luoghi dove le persone possono coltivare verdure, piantare fiori e alberi da frutta, educare i propri bambini al rispetto della natura.
Da diversi anni l’esperienza della fattoria urbana, declinata perlopiù sul settore didattico, ha attecchito anche nel nostro Paese, che attualmente conta oltre 400 organizzazioni attive, tra city farms, fattorie didattiche e reti organizzate. Nettamente in testa il Nord Italia e in particolare l’Emilia Romagna, che si distingue per una fitta rete di Fattorie Didattiche suddivise in 9 aree provinciali. La vocazione didattico-educativa trae ispirazione dall’esempio scandinavo, dove, sin dai primi del Novecento le fattorie danesi, svedesi e norvegesi organizzano eccezionali programmi scolastico-educativi seguendo la filosofia -di origine americana- dei cosiddetti Club 4H (Head, Health, Heart, Hand): usare la testa, il cuore e le mani per imparare e rimanere in buona salute.
Approfondimenti:
http://journeytoforever.org/cityfarm.html
http://efcf.vgc.be
http://www.justfood.org/cityfarms
www.greenguerillas.org
www.farmgarden.org.uk
www.fattoriedidattiche.net