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La retorica, in questo caso, la fa da padrone. Insieme al suo vecchio amico di sempre: il luogo comune. Quando si parla di Internet, è raro che si sfugga alle definizioni preconfezionate, quelle che descrivono la Rete come una ragnatela infinita, senza confini, estesa attorno all’intero pianeta. La società dell’informazione, tuttavia, è meno globale di quanto si pensi. E i dati parlano chiaro: circa 5 miliardi di persone al mondo non hanno accesso ad Internet, e i 600 milioni di utenti che affollano la Rete vivono, nella stragrande maggioranza, in Paesi occidentali sviluppati.
La problematica è nota, anche se le contromisure ancora insufficienti, ed ha anche un nome, naturalmente inglese. Si chiama digital divide, il divario del digitale, l’esclusione dal mondo della comunicazione online di larghissima parte della popolazione mondiale. Uno squilibrio che naturalmente incide gravemente sullo sviluppo economico e sociale dei Paesi meno sviluppati, aggravando le diseguaglianze sociali già radicate storicamente. Se non si agirà in fretta e con strumenti adeguati -il compito spetta naturalmente ai governi e alle organizzazioni internazionali- il gap che esiste tra i cosidetti info-ricchi e gli info-poveri non potrà che aggravarsi. Sembra averlo compreso l’ONU, che lo scorso anno ha varato un programma per combattere il divario tecnologico, basato sulla disseminazione di reti senza fili. Secondo alcuni studi infatti, una delle cause della mancata diffusione delle reti telematiche nei Paesi meno sviluppati è la mancanza di reti telefoniche, infrastruttura grazie alla quale, come sappiamo, Internet si è sviluppata nei Paesi occidentali ricchi. Reti wireless, satelliti e telefoni cellulari dovrebbero quindi diventare uno strumento utile per affrontare la delicata questione. Se la misura sarà efficace è ancora da dimostrare, mentre c’è già chi accusa le Nazioni Unite di essersi piegate agli interessi delle multinazionali tecnologiche, interessate ad una “colonizzazione” senza fili.
Ma la disparità di accesso alla rete non è solo un problema che riguarda l’Africa o le remote isole dell’Oceano Indiano. Esiste infatti una “via” tutta italiana al digital divide. Stiamo parlando della differenza tra Nord e Sud: una nuova “questione meridionale” dell’era digitale. Il problema è talmente sentito da portare, nel marzo di quest’anno, alla fondazione di un’Associazione Italiana Anti Digital Divide, che si propone di “informare e sensibilizzare i cittadini italiani sulla grave situazione in cui versa la rete telematica del nostro Paese.”
Il primo obiettivo della protesta, naturalmente, Telecom Italia, accusato di mancata copertura e di disparità di trattamento rispetto agli altri Paesi Europei in fatto di tariffe. L’ultima iniziativa in ordine di tempo viene però dal guru statunitense Nicholas Negroponte, che propone il lancio di computer super-economici (100 dollari), alimentabili con fonti elettriche alternative e -naturalmente- equipaggiati con software Linux. Riusciranno a ridurre le periferie di Internet?
www.antidigitaldivide.org
www.digital-divide.it
www.digitaldividenetwork.org
www.innovazione.gov.it/ita/intervento/digitaldivide/index.shtml