Intervista a Renato Mambor

Spesso nei suoi quadri lo spettatore viene “inglobato” nell’immagine. Ripreso di spalle mentre, a sua volta, osserva. Oppure impersonato da sagome lignee. C’è una volontà di spiazzamento nei confronti dello spettatore “reale”? Oppure è solo un invito alla riflessione sulla propria condizione di osservatore?
La mia è sempre stata una ricerca legata al linguaggio della pittura. Lo spiazzamento è come un’aspettativa tradita. Per i surrealisti era considerato l’assioma dal quale partire per la propria ricerca. Ad esempio nel mio lavoro sulla bidimensionalità , negli anni 60, l’uomo statistico veniva oggettivizzato. “Togliere l’io dal quadro” si diceva tra noi, e all’interno di questa volontà di spersonalizzazione ognuno compiva il proprio viaggio.

La sua ultima mostra (Roma, Galleria Il Mascherino, a cura di Barbara Martusciello) si intitola Spettatore-Osservatore e durante l’inaugurazione si è svolta una performance su questo tema. Che lei ha interpretato personalmente, inscenando uno scambio di ruoli tra attore e spettatore. Qual’è oggi, secondo lei, il ruolo dello spettatore nell’arte?
Lo spettatore è colui che diventa osservatore. Nella vita e nell’arte. Tuttavia guarda con uno sguardo “sporco”, filtrato. La società “mangia” gli occhi dell’osservatore il quale dovrebbe sempre pulire lo sguardo senza pregiudizi, senza condizionamenti. Ma non è sempre così. L’osservatore è colui che ha un atteggiamento filosofico nei confronti della vita: quando osserva la vita, la guerra, i giovani, è come se li vedesse in uno schermo. Stando sempre fuori.

Le parole “spettatore” e “osservatore” sono sinonimi? Che differenza c’è tra i due concetti?
La distinzione tra osservatore e spettatore, come dicevo poco fa, è prima di tutto un atteggiamento filosofico. Come se le persone fossero a teatro, o a guardare in un acquario i pesci, ma senza partecipare. L’osservazione è legata allo sguardo, lo sguardo comunica al pensiero e lì operiamo una scelta, una selezione, un giudizio. La mente condiziona sempre prima dell’esperienza; siamo ormai “mangiati” più dagli slogan che dall’esperienza stessa. La definizione di spettatore e osservatore implica concetti e comportamenti non solo nella pittura ma distinzioni anche alla base della mia filosofia di vita. Vorrei che i visitatori fossero spettatori.

Una sua considerazione sulle opere d’arte “interattive”. Quelle, per intenderci, dove lo spettatore è chiamato ad intervenire direttamente per modificare o attivare l’opera.
Sono importanti perché in qualche modo chiamano l’osservatore a diventare attore e pensatore, quindi a partecipare, ad entrare in quell’acquario di cui parlavamo prima. Io nella mia vita ho avuto anche una lunga esperienza di teatro, durata circa 15 anni, e questo ha influenzato la mia ricerca. E’ una mia convinzione che qualsiasi forma d’arte debba essere “empatica”.

Crede che l’arte e la cultura abbiano un loro pubblico peculiare? Esiste un “identikit” del pubblico dell’arte?
Il pubblico dell’arte è quello che va alla mostre, che guarda ma non partecipa. Bisognerebbe fabbricarne uno di pubblico, costruirlo ex novo, perché in ognuno di noi c’è l’osservatore ma è sempre meno incuriosito, stimolato. Come succede con la televisione, dove siamo chiamati a guardare ma senza mai partecipare. Oggi l’arte ha bisogno di una maggiore visibilità . Il parere degli artisti sull’arte non viene mai chiesto; gli opinionisti, i critici non sono mai artisti e questo perché non c’è com-passione tra l’artista e lo spettatore, ed è una lacuna sempre più difficile da colmare.

Qual è la sua opinione sull’arte contemporanea italiana? Ci sono giovani che stima?
Credo che oggi la sperimentazione sia satura, il campo è stato totalmente esplorato perciò oggi chi si cimenta nell’arte visiva fa del “turismo”, non scopre più niente. Per cambiare l’arte bisogna cambiare l’individuo ed è arricchendo l’individuo che si arricchisce anche la cosa esplorata. Rispetto agli anni 60, dove tutti sperimentavano, oggi l’artista deve avere la saggezza per poter fare un lavoro in profondità. Penso che oggi l’arte passi attraverso il lavoro di gruppo, che non significa per forza creare una tela a più mani, ma vuol dire lavorare in uno stesso spazio, scambiarsi opinioni, discutere di un quadro fino a notte fonda. Con Tano Festa, Mattiacci, Cerri, Kounellis, Pascali, negli anni 60 abbiamo dato vita a Diario 67 in cui insieme abbiamo lavorato ad una sequenza di tavole pittoriche ognuno apportando la propria esperienza. Credo che la pluralità, la partecipazione, l’intersecarsi possano aiutare i giovanissimi a colmare questa lacuna tra arte e spettatore. Di artisti giovani interessanti ce ne sono: da Maurizio Cattelan a Bruna Esposito, ma il loro futuro io lo vedo nel lavoro di gruppo per superare l’atteggiamento instillatoci dai media di “guardo ma non partecipo”.

Progetto per un’Antologica III: Spettatore – Osservatore
La mostra rappresenta la terza tappa di una rilettura del lavoro di Renato Mambor che la Galleria il Mascherino di Roma ha iniziato nel 2002 e che si è sviluppata nell’arco di tre anni di volta in volta approfondendo un aspetto peculiare della sua ricerca. In questo appuntamento, che sarà seguito da una quarta mostra, si è focalizzata l’attenzione sul tema del rapporto tra Spettatore e Osservatore, motivo ricorrente nel lavoro di Mambor.

Approfondimenti:
www.italica.rai.it/galleria/galleria4/numero4/protagonisti/mambor.htm

www.exibart.com/notizia.asp/IDNotizia/12753/IDCategoria/61

Renato Mambor (Roma, 1936) esordisce agli inizi degli anni Sessanta nell’ambito della scuola romana costituita da autori quali Schifano, Uncini, Lo Savio, Festa, Angeli, Tacchi, Lombardo, riuniti intorno alle collettive presso la Galleria “La Tartaruga” di Plinio De Martiis. Azzeramento linguistico e divertita accoglienza dei mass-media sono i caratteri fondanti la prima ricerca dell’artista. Dopo vari approfondimenti nel campo della convenzionalità dell’immagine come icona (segnali stradali, uomini statistici) Mambor approda al teatro, vissuto come esperienza d’arte e di provocazione. Dal comportamento delle azioni teatrali nascono le opere dell’ultimo decennio, riflessioni sull’esperienza collettiva di fronte alla percezione dell’arte (l’osservatore, il testimone oculare, l’uomo geografico).