Intervista a Ermete Realacci

Cos’è la soft economy?
Oggi, il futuro dell’Italia si gioca in larga misura su due fronti. Da una parte, la scommessa sui saperi e l’innovazione, sulla ricerca e le nuove tecnologie. Dall’altra, l’orgoglioso recupero della sua identità positiva: una combinazione unica di paesaggi e comunità , territori straordinari, prodotti tipici e saperi tradizionali, coesione sociale, creatività , città d’arte e patrimonio storico-culturale. Qui affondano le radici il nuovo made in Italy e la sua competitività . La soft economy è questo: un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione, ma anche sull’identità , la storia, la creatività , la qualità ; un’economia in grado di coniugare coesione sociale e competitività e di trarre forza dalle comunità e dai territori.

In che modo si possono conciliare “la tecnologia avanzata e la qualità del paesaggio, l’innovazione e il patrimonio storico-artistico, i centri di ricerca e i prodotti tipici”. Ci fa un esempio di caso riuscito?
Le Cantine Caprai: il loro successo -Slow Food e Gambero Rosso le hanno incoronate Cantina dell’anno- è dovuto al recupero di uno straordinario vitigno italiano sul’orlo dell’estinzione: il Sagrantiono di Montefalco, in Umbria. Grazie alla strettissima collaborazione con la facoltà di Agraria dell’Università Statale di Milano, hanno realizzato una ”˜schedatura’ genetica delle piante rimaste, che ha permesso di recuperare a pieno tutte le divierse identità del vitigno. Nel 1970 a Montefalco erano rimasti meno di 10 ettari di Sagrantino, oggi sono diventati 700, il valore dei terreni è cresciuto di 30 volte in vent’anni; la ”˜Strada del Sagrantino‘ ha prodotto 150 posti di lavoro, 25 milioni di euro di investimenti, il raddoppio dei posti letto negli alberghi e un effetto traino per il museo civico, che è arrivato a ospitare 40 mila visitatori all’anno.
Ma di storie simili il Paese è pieno: dalle cantine Donnafugata (dove la letteratura e la musica incotrano il vino, dove il ricordo alle fonti rinnovabili e il risparmio energetico sono parte essenziale della produzione) alla Robur (che realizza avanzatissimi sistemi di riscaldamento che risparmiano energia, tagiano le spese, riducono le emissioni e hanno un grande successo all’estero, dall’Olanda all’Iran) alla Amarelli (che produce liquirizia dal 1731 e grazie alla qualità dei prodotti e a un marketing innovativo raggiungono i quattro angoli del pianeta).

Quali invece gli errori più comuni?
Qualcuno crede che per stare sul mercato, per battere la competizione di paesi emergenti come la Cina, per affermare le imprese italiane nel mondo si debbano ridurre paghe e diritti, che sia necessario qualche sacrificio, magari a danno dell’ambiente e del territorio, che basti ridurre i prezzi della manodopera. Niente di più sbagliato. L’Italia vince se punta sulla qualità .

Cosa è cambiato nella percezione del Made in Italy e cosa invece è rimasto uguale?
L’Italia all’estero è ancora un brand fortissimo. Pensiamo al settore alimentare: il mercato retail dei prodotti alimentari ‘Italian Sounding‘ (che suonano italiani) ammonta negli Stati Uniti a 17,7 miliardi di dollari. Ma di questi, soltanto 1,5 miliardi (l’8,6%) fanno riferimento a prodotti veramente italiani, mentre i restanti 16,2 miliardi (il 91,4%) sono prodotti imitativi. Vuol dire che. Come ha detto il presidente Ciampi, c’è nel mondo desiderio dell’Italia, dei suoi prodotti, del suo stile di vita, della sua creatività . Sta a noi -aggiungeva- rispondere al meglio a questa domanda.
Ma il made in Italy è cambiato, è cresciuto: citavo prima Robur, che esporta tecnologie in tutto il mondo. Oppure l’Umpi elettronica di Cattolica, che ha brevettato un sistema elettronico di gestione dell’illuminazione pubblica avanzatissimo che non a caso è stato è utilizzato a Venezia, Barcellona, Cordova, Vienna, ed esportato dalla Francia alla Germania al Brasile alla Malesia. L’Illuminazione della Mecca e di Medina la gestisce il loro sistema Minos. Anche questo è made in Italy.

La creatività, l’estro e lo stile sono ancora una prerogativa del “prodotto italia”?
Proprio facendo sulla creatività e sull’innovazione, sul nostro gusto e la capacità di produrre bellezza l’Italia può recuperare vigore dalle proprie radici. Prendiamo il caso della Rete srl, di Montisola. 1800 abitanti al centro del lago d’Iseo, si trovano qui gli stabilimenti di uno dei gioielli del made in Italy: 25 fra dipendenti e lavoratori a domicilio, tra i primi al mondo nella produzione di reti sportive, amache e reti per la sicurezza. Erano le loro, per fare un esempio, quelle usate negli ultimi mondiali di Calcio in Giappone e Corea. La Rete nasce quando la tradizione artigiana di Montisola, dove si intrecciano reti dai tempi di Carlo Magno, subisce un colpo pesantissimo: negli anni ’70, mentre a causa della concorrenza di Cina e India la gran parte dei retifici si trasferisce sulla terraferma per tagliare i costi di produzione e logistica, quelli della Rete rilevano uno di questi impianti dismessi. Scommettendo sull’abilità tradizionale degli intrecciatori di Montisola. E sull’innovazione, appunto: non più reti da pesca, ma reti per lo sport. E non più maglie quadrate, ma a nido d’ape: migliori e più veloci da realizzare.
La creatività non è solo quella di chi oggi viene etichettato come creativo: ma è anche quella dei tecnici della Bialetti che inventano in proprio, senza acquistare brevetti o ricorrere a super esperti stranieri, nuove soluzioni tecniche. Merito della politica del gruppo, che scommette sulla formazione e sulla qualità della vita dei lavoratori. Creatività è quella di Daniele Khilgren, che si innamora di un borgo mediavale abruzzese perfettamente conservato, Santo Stefano di Sessanio, perché là dove altri vedevano mura in abbandono lui ha visto un sistema alberghiero rispettoso del luogo e delle sue tradizioni. O quella di Tiziana e Paolo Terenzi, che per far competere la loro cereria con la concorrenza orientale, spesso sleale e addirittura pericolosa per i consumatori, hanno puntato sul design attento alle tendenze dell’arredamento, su essenze e coloranti naturali atossici e certificati, sulla paraffina raffinata al 100%: oggi hanno conquistato la leadership europea nella produzione di candele in cera per la pasticceria.

Quanto conta, in relazione ad un progetto di aumento della competitività, una corretta gestione della settore scuola-formazione?
Quanto conta dare acqua ad un albero per poterne raccoglierne i frutti?

http://bur.rcslibri.corriere.it/sclibro.php?idlb=2855

Ermete Realacci è presidente onorario di Legambiente e deputato dell’Ulivo di Pisa. Fa parte dell’esecutivo della Margherita, è presidente dell’Associazione interparlamentare per il commercio equo e solidale ed è vicepresidente del Kyoto Club. Ha promosso e presiede Symbola – Fondazione per le qualità italiane.