“Facciamo che io ero lo scienziato?”. Il gioco inizia così. In uno spazio tutt’altro che immaginario: i 2.800 mq de La città dei bambini di Genova. Prima ancora che un museo, uno science center costruito all’interno degli spazi degli ex magazzini del cotone del Porto Antico. E’ pensato per i più piccoli e gli adulti si guadagnano il diritto ad entrarvi solo se accompagnati dai bambini. Costruito con la consulenza della Citè des Enfants, che sorge all’interno del Parc de la Villette di Parigi, si inserisce nella ormai lunga tradizione di musei che hanno come target i bambini, i Children’s Museums. Nati negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento, il primo fu fondato a Brooklyn nel 1899, soddisfano il diritto per i bimbi alla conoscenza ed al gioco sancito anche dalla carta dei diritti dell’ONU.
Nel museo ai bambini è richiesto di fare ciò che è loro più naturale: giocare. Giocano a riconoscere gli oggetti al tatto o all’olfatto, ad usare il computer per disegnare e sperimentare il galleggiamento di diversi oggetti nell’acqua. E contemporaneamente imparano: imparano e giocano con gli esseri viventi, con i suoni e i rumori. Giocano a fare scienza: costruiscono la carta d’identità biologica, partecipano ad una speciale caccia al tesoro in cui devono risolvere problemi con i cinque sensi, suonano strumenti musicali immaginari muovendo le braccia e le mani e creano una sinfonia in gruppo correndo. Il giovane pubblico guarda, ascolta e osserva. Poi si attiva e reagisce: i visitatori assaggiano, manipolano, chiedono, replicano. E fanno scienza osservando e riflettendo. Si gioca e attraverso il gioco si comunica con gli altri e agli altri, adulti inclusi.
In questo modo il museo si mette in gioco, smette di essere solo un contenitore di informazioni e si lascia esplorare. Il gioco non è più il mezzo, ma il contenuto stesso della fruizione museale, all’interno della quale le esperienze di informazione, comunicazione e socializzazione si mescolano e si amplificano reciprocamente. Il gioco è, a ben pensarci, l’unico modo per attrarre un pubblico sempre più smaliziato come quello dei più giovani. Una modalità , quella ludica, che ha ancora miracolosamente la capacità di sfuggire al pericolo di assuefazione e sovraccarico di informazioni. E perché no, un modo per fidelizzare il pubblico in prospettiva futura.
Certo non è del tutto casuale che una “città dei bambini” sorga in uno spazio che è una area ex-industriale recuperata e risorta alla cultura, in un territorio come quello genovese caratterizzato da tendenze demografiche pericolosamente avviate all’invecchiamento e da una città dal passato a forte vocazione industriale entrato violentemente in crisi. Una duplice ricerca di identità e investimento: investimento nelle giovani risorse e scommessa su un risorgimento territoriale che passa attraverso la cultura ed i contenitori culturali.
Una volontà evidenziata anche dal modello gestionale utilizzato per il suo avviamento. Il museo, infatti, è stato realizzato con fondi di oltre 3.000.000 Euro dalla Porto Antico spa. La società , che ha come soci il Comune di Genova, la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e l’Autorità Portuale di Genova, è riuscita ad ottenere l’area in concessione fino al 2050. Una soluzione gestionale che da un lato permette di mantenere in mani pubbliche il potere di indirizzo e controllo rispettandone la mission e dall’altra di disciplinare i costi. Naturalmente molto resta ancora da fare. Il livello di frequentazione e percezione da parte dei visitatori in cerca di un’offerta museale e culturale differenziata rimane ancora del tutto marginale rispetto ad altre città italiane e la visita stessa al museo dei bambini viene generalmente associata alla visita all’Acquario, creando in questo modo sovrapposizioni e confusione. La strada, però, è tracciata.