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Intervista a PierLuigi Sacco, direttore scientifico di Goodwill
E’ appena uscito il suo libro dedicato al fundraising in ambito culturale. Qual è la situazione generale del nostro Paese in questo delicato settore?
Sicuramente di forte evoluzione da parte degli attori in campo, anche se basta considerare la difficoltà di determinare un quadro particolareggiato delle fonti di finanziamento private alla cultura per renderci conto di come ”“ fino ad ora ”“ sia prevalso un approccio frammentario e non integrato tra i soggetti coinvolti. Dall’analisi dei “mercati privati” del fundraising culturale e delle esperienze più avanzate in questo campo tuttavia emergono dei trend significativi.
In primo luogo i privati cittadini: se consideriamo il ruolo sempre più importante che la cultura detiene nei percorsi identitari e relazionali delle persone, e se facciamo un parallelo con i risultati del fundraising in ambito socio-sanitario, sono evidenti le potenzialità ancora inespresse di un coinvolgimento maturo e consapevole dei cittadini a sostegno della cultura.
Per quanto riguarda le fondazioni, si profilano sempre più concretamente percorsi di investimento nella cultura quale fattore strategico di relazione con il territorio e con i suoi scenari di sviluppo sociale ed economico. Lo stesso riguarda gli attori economici: è ormai chiaro come la strada della partnership tra impresa e istituzione culturale sia un fattore di sviluppo reciproco su cui investire, perché consente di instaurare nuove forme di relazione con gli stakeholder di un territorio o di una comunità e di individuare nuovi orizzonti di sviluppo da percorrere.
Sul fronte pubblico, a partire dalla dimensione locale, il dato interessante è che crescono i segnali della consapevolezza delle potenzialità legate a nuove forme di partecipazione pubblico-privato, quindi di sostenibilità , nella gestione della cultura.
Il testo contiene una selezione di case studies internazionali, modelli di successo da cui trarre insegnamento. Quali sono i suggerimenti importanti da cogliere per i futuri fundraiser italiani?
Il messaggio fondamentale è conoscere il settore in cui si opera, le dinamiche specifiche che lo muovono, sviluppare una crescente padronanza delle prospettive evolutive del ruolo che un settore come quello culturale è destinato a giocare nella società contemporanea, mettendo in atto una vera e propria cultura dell’anticipazione rispetto a questi scenari. Guardando alle esperienze internazionali, quello che emerge è proprio questo: la capacità professionale, nei casi di eccellenza che abbiamo analizzato, è cresciuta di pari passo con la capacità di sviluppare una crescente integrazione con la comunità di riferimento. L’istituzione culturale si mantiene così un punto di riferimento costante per una pluralità di attori, dai cittadini alle imprese, tramite un forte orientamento alla partecipazione, alla condivisione di obiettivi e alla fidelizzazione delle relazioni instaurate, dimostrando anche una significativa capacità di innovare, di far evolvere tali relazioni quando necessario.
Nell’introduzione del libro si sottolinea come la raccolta fondi non sia soltanto un’attività strumentale, di mero reperimento di risorse finanziarie, ma anche una dinamica di “creazione di forme di scambio sociale estremamente complesse e spesso creative”. Può chiarirci quest’affermazione?
Il fundraising sussiste e si sviluppa nelle relazioni. C’è innanzitutto uno scambio di significati e di valori, che costituisce la premessa per condividere una causa da sostenere. Nel bisogno sempre più sentito nella nostra società di accedere a nuove dimensioni di senso, con il donatore si attiva una relazione di ascolto, di fiducia e, quindi, di coinvolgimento. La partecipazione è il passaggio successivo nel quale i due termini della relazione si scambiano esperienze, conoscenze e anche competenze, fino a costituire un valore, prima di tutto immateriale, che prima non c’era. In questo senso la relazione che attiva il fundraising può dirsi creativa.
La pubblicazione è stata promossa dalla Fundraising School, di cui lei è direttore scientifico. Come si struttura il percorso formativo di questa figura professionale?
The Fund Raising School è stata la prima scuola di livello universitario a occuparsi di fundraising e ha ormai sviluppato un iter formativo completo in grado di rispondere tanto alle esigenze dell’aspirante fundraiser che del professionista che vuole investire in un percorso di specializzazione. Si inizia dai corsi sulle tecniche di base e da quelli dedicati ai principali strumenti e “mercati”, per giungere infine a una qualificazione professionale nei principali settori di specializzazione del fundraising: il settore socio-sanitario e il settore culturale, per ognuno dei quali la scuola offre un corso dedicato, perchè ogni ambito è caratterizzato da contesti relazionali propri la cui comprensione è parte integrante della professionalità del fundraiser. Chi segue l’intero percorso ha inoltre la possibilità di conseguire il Certificato in Fundraising Management, quale riconoscimento qualificante nel mondo del lavoro, in un settore in cui sta crescendo fortemente la domanda di professionisti specializzati.
Lei è tra i fondatori di goodwill, società di consulenza strategica e centro di ricerca nel campo del fundraising e della corporate philanthropy. Può descriverci brevemente come si svolge la vostra attività?
goodwill è la prima realtà professionale in Italia ad aver attuato la strada della specializzazione del fundraising per settori di intervento. Operiamo in ambito culturale, socio-sanitario, universitario, politico, oltre che nel campo della progettazione territoriale secondo il modello del distretto culturale evoluto. Costruiamo strategie per la sostenibilità e per l’attivazione di progettualità condivise tra attori pubblici e privati, rivolgendoci a organizzazioni non profit, amministrazioni pubbliche, imprese.
Quello della sostenibilità è un approccio strategico che di volta in volta deve sposare l’identità e le esigenze dell’organizzazione: per questo la premessa di ogni progetto è legata a una accurata fase di analisi secondo un percorso metodologico che prevede sempre una complessità di fattori di cui tener conto, in un’ottica fundraising oriented: dalla “buona causa”, alla dimensione comunicativa e relazionale, a quella organizzativa e gestionale. È a questo punto che si entra nella fase di pianificazione, sia nel breve-medio periodo che nel lungo, definendo la combinazione ottimale di attori, azioni e strumenti per raggiungere gli obiettivi individuati.
Approfondimenti:
www.good-will.it
www.fundraisingschool.it
www.good-will.it/index.php?action=view&id=138