Questo articolo è dedicato ad un lavoro ben poco conosciuto ma fondamentale per il mondo dell’arte, della cultura e della creatività . Un documento steso a seguito dell’incontro di Lisbona, avvenuto nel marzo del 2000, al quale hanno partecipato i capi di Stato di tutti i Paesi della Comunità Europea. La risoluzione decisa alla fine del summit per quanto riguarda il settore culturale recita così: “vogliamo fare della Comunità Europea nel 2010 l’economia più dinamica, competitiva e knowledge based del mondo, capace di sostenere la crescita economica con ancor più posti di lavoro e maggiore aggregazione sociale”.
Il documento (The Economy of Culture) afferma che, a causa della mancanza di dati statistici precedenti tale incontro, si era sempre ritenuto che cultura e creatività fossero all’ultimo posto per quanto riguarda il loro apporto a livello di crescita economica e di occupazione. Insomma costi molti e ricavi pochi. La verità , contenuta nel lavoro di cui accenniamo qui brevemente, è che questa concezione sia grossolanamente inesatta. Infatti anche solo da un punto di vista occupazionale, il comparto cultura e creatività batte alla grande per tasso di crescita il resto dell’economia europea. A ciò si aggiunge il fattore coesivo che essa offre, promuovendo l’integrazione sopranazionale. Ed ecco quindi che quella che si supponeva essere la Cenerentola di lusso dell’economia diventa una principessa, presentando un autoritratto economico di ragguardevole interesse. Questa pubblicazione scientifica definisce il settore “culturale e creativo”, affermando che il settore culturale è diviso in attività non industriali e attività industriali dove fra le prime si includono tutti i contributi artistici puri (pittura, scultura, musica, teatro, musei e patrimoni artistici, per citarne alcuni) e fra le seconde i prodotti culturali per la riproduzione di massa (film, libri e musica, ad esempio). Il settore creativo è invece quello che offre input ed ispirazione per la produzione di prodotti non culturali nel senso tradizionale del termine (moda, design, architettura, persino advertising).
Fatta questa precisazione, mano ai numeri e alle sorprese. Il settore culturale e creativo nel 2003 in Europa ha fruttato 654 miliardi di Euro, che fanno apparire piuttosto basse le cifre del settore della produzione automobilistica, vero 271 miliardi di Euro, ed appena competitive quelle del settore ICT, pari a 541 miliardi di Euro. Ed è solo l’inizio. La contribuzione del settore alla crescita Europea è stato del 19.7 % nel periodo dal 1999-2003. Questo significa una crescita del 12.3% superiore a quella dell’economia in generale. Nel 2004, 5.8 milioni di addetti hanno lavorato nel settore. Il loro numero è pari al 3.1% del totale impiegatizio europeo. Quel che è interessante notare è che mentre in Europa c’è stata una flessione del lavoro il nostro settore è cresciuto del 1.85%.

• 46.8% dei lavoratori del settore ha una laurea (il resto del mondo lavorativo laureato è il 27.5%)
• I lavoratori indipendenti sono più del doppio di quelli degli altri settori assommati (28.8% contro il 14.1%)
• I lavoratori part-time sono uno su quattro mentre il resto dei settori registra un 17.6% .

A questo si aggiungono considerazioni non strettamente quantitative ma ugualmente importanti: la cultura e l’innovazione attraggono investimenti, talenti creativi e turismo. Il contenuto creativo è responsabile per la crescita del settore ICT perché lo sviluppo di nuove tecnologie dipende largamente da quanto attraenti siano i contenuti proposti. Centri famosi per la loro creatività danno appoggio alla crescita locale. E, soprattutto, la cultura in tutte le sue declinazioni è uno strumento di coesione sociale e territoriale.

Non è possibile riassumere un documento come quello di Lisbona in poche righe. C’è un fatto in particolare però che vorrei evidenziare. Se ci concentriamo un attimo sul panorama dei musei in Europa il bilancio sembra diventare meno positivo. Infatti dai dati raccolti negli anni dal 1998 al 2005 il documento deriva le seguenti osservazioni:

1. I musei europei sembrano tenacemente perseguire l’organizzazione di importantissime mostre che attraggano un pubblico sempre crescente
2. Mentre le mostre si focalizzano su artisti europei, esse però non hanno più luogo in Europa come centro di esposizione primaria in quanto il trend sempre più evidente è quello di esportare tali mostre all’estero: nel 1998 delle esposizioni considerate top 20 solo 4 hanno avuto luogo in Europa (anche se 14 di esse erano dedicate ad artisti europei). Nel 2005 delle top 20 solo 7 hanno avuto luogo in Europa anche se 11 di queste erano dedicate ad artisti del Vecchio Continente. Questo vuole dire che l’Europa perde in attrazione mentre guadagnano punti gli USA ed il Giappone.

È il Giappone in particolare ad attirare l’attenzione, considerato anche che fino a pochi anni fa non era presente in queste graduatorie. La sua crescente aggressività va ricondotta alla parziale privatizzazione dei musei giapponesi avvenuta nel 2001, con un conseguente aumento di attenzione al fattore economico, agli incassi e alle azioni di marketing. Questo nuovo approccio è confermato dall’affluenza giornaliera di visitatori giapponesi alle mostre, affluenza il cui tasso è molto più alto di quello Europeo. Lo stesso trend, riferisce il Documento di Lisbona, si può notare negli Stati Uniti e raggiunge il culmine nella affluenza di visitatori al MET di New York.
I musei statunitensi e giapponesi ormai si comportano come imprese orientate al profitto e competono per avere quello che in termini di marketing si chiama share e che è semplicemente una fetta del mercato o, in questo caso dei visitatori. Questo insegna che i musei dovrebbero cercare nuovi sponsor, nuove risorse, sviluppare dei business plan e delle vere e proprie strategie di mercato.

Lo studio di Jean-Marie Tobelem, Le nouvel âge des musées (Paris, Armand Colin 2005) offre un’analisi interessante dei cambiamenti dei musei negli ultimi 50 anni. Il testo propone una soluzione mediana fra il vecchio orientamento dell’offerta (con finalità educative e scientifiche) e quello della “domanda” che è generata dal mercato. A sostegno della sua tesi Tobelem cita l’esempio del Museo di Bilbao, che ha impattato non soltanto la città di Bilbao, ma ha favorito tutta la zona Basca. La storia di un Museo che ha saputo trasformare una città industriale ormai derelitta in un centro di altissimi profitti derivanti dal turismo. Infatti:

• il museo generato profitti tali nell’arco di tempo dal 1997 al 2005 da ripagare per ben 18 volte l’investimento necessario alla sua costruzione
• i profitti diretti del museo (biglietteria, merchandising, caffè e ristoranti, sponsorizzazioni ed organizzazioni di eventi speciali) hanno prodotto nel 2005 ben 25 milioni di euro • le entrate indirette ovvero quelle derivanti dai ristoranti, bar negozi della città, hotel e divertimenti in genere hanno contribuito per 139 milioni di Euro nello stesso anno
• il museo ha contribuito al mantenimento di 4893 lavoratori e ha creato 4361 posti di lavoro dalla sua apertura
• il Museo ha messo la parola fine all’isolamento della città di Bilbao che è diventata una città del turismo europeo. Questo grazie anche ad un miglioramento delle infrastrutture, dei collegamenti e dei trasporti.
• il Museo ha avuto in impatto positivo sulla vita sociale della città ed è diventato un veicolo per una educazione innovativa.

Credo che queste poche note possano dare l’idea dell’importanza dell’esempio di Lisbona, soprattutto per ciò che ha messo in evidenza. Ovvero:

• l’Europa può competere con creatività e cultura. Viviamo in un’economia post industrializzata dove questi due fattori sono e diventeranno tanto importanti quanto lo sono stati altri, dall’industria automobilistica allo sfruttamento delle miniere di carbone.
• l’Europa ha dalla sua: talento individuale, alcuni dei colossi più competitivi a livello globale del mondo dell’editoria, della moda, dei videogame, della musica.
• industrie creative ed una miriade di piccole e medie imprese ben radicate sul territorio locale
• l’importanza del settore pubblico
• ottime leggi di protezione intellettuale

Ognuno di questi fattori positivi può tuttavia generare una considerazione di segno opposto (di seguito nello stesso ordine)
• ma con abilità di business limitate ed attratte dagli Stati Uniti
• ma con meno potere sui rispettivi Governi delle industrie creative statunitensi
• ma spesso incapaci di trarre beneficio dal mercato interno a causa di problemi di accesso al medesimo e mancanza di capitali
• ma con una marcata resistenza a rendersi conto delle sfide rappresentate dalla internazionalizzazione
• ma con poca attenzione alla loro applicazione (pirateria) da parte di paesi terzi

La sfida per l’Europa sarà quindi quella di far diventare la creatività e la cultura temi prioritari nell’agenda dei Paesi membri, controllando e disciplinando in particolare le opportunità offerte dalla digitalizzazione della cultura, educando i cittadini all’arte, migliorando le proposte educative e di training per renderle più coerenti alle domande delle professioni creative, sostenendo i territori creativi locali, e facendo si che le azioni europee interne all’Unione siano coerenti con quelle rivolte all’esterno.

link al documento: http://ec.europa.eu/culture/eac/sources_info/studies/economy_en.html