Due settimane ancora. E poi, tutti a casa. Evitando di sottolineare l’ovvia tristezza, dico solo che mi sembra strano pensare che questa nostra esperienza qui stia per terminare; proprio ora che, con chiarezza, inizio a sentire di appartenere sul serio a questa pazza città . Le difficoltà dei primi giorni, le divergenze spazio temporali con le abitudini locali, la malaria e le mille paranoie mediche sono archiviate, magicamente superate, forse incoscientemente rimosse.
Ricomincerei mille volte dal 9 di gennaio. In momenti difficili mi sono chiesta cosa mi avesse spinto qui: la classica domanda “chi me l’ha fatto fare?” s’è materializzata nel mio cervello un paio di volte, sicuramente durante la terapia allucinogena contro il parassita del paludisme. Sono qui, ancora senza alcuna risposta, ma con un gran bel sorriso sulla faccia e gli occhi sereni, anche se stanchi.
Tra l’altro, sento di avere ancora molto da fare e da dire, da queste parti. Tornerò qui, e completerò l’“opera”. La grande festa deve ancora essere fatta e gli amici di Grand Dakar ci aspettano, con il “sindaco dal Grand Boubou” in prima fila. Io e Tiziana, dopo avere salutato e messo sull’aereo amici e collaboratori, siamo rimaste qui e con lucida determinazione abbiamo iniziato a mettere in atto collaborazioni, gettare basi per il nostro ritorno. Non è stato facile comprendere certe dinamiche sociali, culturali e lavorative.
Dopo molte ore perse ad ascoltare proposte strampalate, o a lavorare faticosamente con ritardatari cronici; dopo le delusioni (fortunatamente, poche) subite a causa di persone che hanno cercato, per i motivi più disparati, di approfittare del colore della nostra pelle (Dakar è bella anche perché piena di simpatici bandit, che ti fanno capire velocemente quanto sia necessario essere prudenti nel farsi avvicinare dai locali BoyTown) siamo pronte a stendere un nuovo piano di azione. Vogliamo, ancora e con più forza, tentare di rendere accessibili Luoghi Impossibili, della mente e nello spazio. Cerchiamo di creare nuove occasioni e nuovi eventi per aiutare coloro che possono avere bisogno della nostra voce per essere ascoltati; probabilmente in novembre saremo di nuovo qui, per lavorare anche con i ragazzi dell’Association Estel, nel quartiere di Ouakam e fare sì che l’arte, concretamente, si metta al servizio di chi possa riceverne benefici. Rientro in Italia con la convinzione che l’Arte Pubblica possa davvero diventare strumento per sondare e cambiare dinamiche sociali complesse. Rientro in Italia con la percezione di quanto piccolo sia stato il nostro apporto, qui; di quanto ancora, e forse per sempre, ci sarebbe ancora da fare.